Affari di famiglia

Attore e regista, Roschdy Zem si racconta in Les miens
di Delphine Trouillard
  • venerdì, 9 settembre 2022

Roschdy Zem, attore e regista 57enne, è al Festival di Venezia come attore nel film di Rebecca Zlotowski Les enfants des autres e come regista del suo sesto lungometraggio Les miens (Our Ties), entrambi in Concorso.

In 35 anni di carriera e oltre 80 film Zem ha imposto la sua ‘forza tranquilla’ in una filmografia che mescola film d’autore e commedie popolari. La gentilezza e la dolcezza che sembrano trapelare da Zem durante la nostra conversazione contrastano con il carattere di Ryad, un personaggio distante ed egocentrico che interpreta con bravura nel suo ultimo film. Eppure…

È vero che la trama di Les miens è basata su fatti realmente accaduti? E quindi Ryad sarebbe lei?
Sì, assolutamente. Ho voluto scrivere questa storia in seguito ad un incidente e conseguente trauma cranico che mio fratello ha subito e che ha pesantemente alterato la sua personalità. Ho costruito il personaggio di Ryad attorno a cose che avevo sentito dire su di me, magari esagerando un po’ alcun tratti in modo caricaturale per creare un personaggio a cui comunque ci si potesse affezionare. Non volevo essere troppo magnanimo: non ho voluto mostrare il meglio di me a tutti i costi ma anche tratti della mia personalità che mi sono stati rimproverati. È anche un modo per chiedere scusa alla mia famiglia. C’è da dire che la cosa che hanno criticato maggiormente non è stata la mia assenza o distanza, quanto il posto ‘privilegiato’ che il mestiere di attore mi ha portato a occupare all’interno della famiglia, soprattutto quando i miei genitori erano ancora vivi. Ero quello che non andava disturbato, a cui non andavano date le brutte notizie e che bisognava proteggere in qualche modo. Non credo che i miei fratelli e sorelle l’abbiano vissuta molto bene, giustamente. È soprattutto di questo che voglio farmi perdonare. Ci sono stati momenti in cui, senza essere presente fisicamente, avrei dovuto essere di sostegno psicologico e non lo sono stato…

Come la sua famiglia ha accolto questo film?
Ho avuto tanta paura prima di mostrare loro il film perché, oltretutto, sono tutte persone fuori dal mondo del cinema. Sono stato colpito dall’intelligenza del loro sguardo: hanno accolto il film come una sorta di omaggio. E difatti lo è.

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La famiglia è una tematica ricorrente nel cinema francese ultimamente: anche il film di Rebecca Zlotowski parla di questo argomento.
Questa è una coincidenza, anche se è comunque vero che la pandemia e i conseguenti lockdown ci hanno portato in qualche modo a raccoglierci su temi più intimi quali la famiglia, la casa, la vita quotidiana. Nel film di Rebecca Zlotowski c’è una volontà di costruire una famiglia e qui c’è una famiglia che esiste già e che prova a trovare il modo di volersi bene nonostante le nevrosi, i difetti, i problemi di ognuno.

Lei è al contempo attore, regista, produttore, sceneggiatore… Come riesce a fare tutto?
In realtà sono stato fermo per un anno a causa del Covid! A parte gli scherzi mi piace molto il mio lavoro e mi piace buttarmi in nuovi progetti. Inoltre mi sembra di avere un’età in cui i ruoli che mi vengono proposti sono più profondi, più forti e più complessi. Il film di Rebecca Zlotowski mi ha permesso ad esempio di esplorare un personaggio molto più sensibile e vulnerabile rispetto a quelli che ho interpretato finora. Mi sembra inoltre che il cinema femminile abbia molto da offrire in questo momento e ho voglia di buttarmi in nuove esperienze, di fare sempre di più.

Cosa si aspetta dal Festival di Venezia?
Quello che speravo l’ho già ottenuto: una presentazione del mio film in Sala Grande! Quando ho assistito alla proiezione del film di Rebecca ho pensato che di lì a qualche giorno sarebbe toccato a me e mi sono emozionato! Essere poi sottoposto al giudizio di una giuria così interessante è un vero onore.