VISIONE/IMMAGINAZIONE
Siamo nel sembiante di un bambino, Takashi. Vediamo con i suoi occhi, agiamo in prima persona, o meglio per interposta persona: sentiamo i suoi pensieri, assumiamo il suo punto di vista, ma interagiamo col suo mondo limitatamente a certe azioni. A un certo punto però, Takashi diventa cieco. E noi con lui.
Ci ritroviamo immersi nel buio. Sentiamo i suoni, ma riusciamo a percepire solo i contorni delle persone e degli oggetti, che ci appaiono come ombre scure. Ombre che però, man mano che la loro familiarità si fa più manifesta, si tingono di qualche colore: la mamma riacquista i contorni e i colori, a tratti. E così l’amico del cuore, Shinji, che dimostra chiaramente un comportamento autistico.
Per tutta la durata di quest’opera narrativa in VR (Sakudo è un giovane regista di film incentrati sulle amicizie giovanili) ci muoviamo con l’aiuto di un virtuale bastone per ciechi, che dobbiamo battere contro il pavimento per poter procedere. La visione nitida ci è negata. Siamo costretti a immaginare.
Qui l’immersività allucinatoria della VR si confronta con il grande tema della visione nel suo farsi, nel suo crearsi da sé: l’immagine non riproduce una porzione di realtà, come nel cinema, ma si costruisce da sé su base puramente immaginativa, in un procedimento che unisce alla regressione onirica la significatività del linguaggio.
Cosa concorre a rendere la VR un dispositivo testuale in grado di raccontare? Forse, in modo significativo, proprio lo scarto tra visione e immaginazione. Uno scarto che il fruitore è chiamato a colmare attingendo al proprio bagaglio esperienziale ed emotivo.
Proprio come farà il cieco (?) Takashi…
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CONCORSO
di Yu Sakudo
(Giappone, 33’)