Bellissima, 1951. Annotazioni eretiche: la critica classica non ha mai messo abbastanza in risalto il ruolo della musica, che già all’inizio del film è molto potente. Domina Elisir d’amore (Donizetti), che richiama l’usanza della RAI di allora di trasmettere lirica e concerti in radio in prima serata. Andrebbe sottolineata anche la ricca collaborazione con il compositore e direttore d’orchestra Franco Mannino, con il quale Visconti aveva già lavorato per alcune messe in scena operistiche alla Scala. Non sono inoltre evidenziate a sufficienza le innovazioni nella regia, con l’uso molto particolare di inquadrature sghembe, come la ripresa nel salotto con il tavolino che sembra scivolare sulla porta e, soprattutto, la bella scena al buio della fuga da Cinecittà, entrambe probabilmente influenzate da Quarto potere di Orson Welles.
Le contraddizioni nel film sono evidenti. Nella prima parte, resa ancora più potente dall’espressività e dalla recitazione di Anna Magnani, emerge chiaramente una figura femminista ante litteram. Maddalena Cecconi ha un lavoro autonomo come infermiera, possiede un proprio conto bancario di cui può disporre liberamente e si permette di trascurare il marito per portare sua figlia alle lezioni di danza della Ruskaia, una parodia dei balletti russi.
Anna Magnani è Maddalena Cecconi, una madre romana che prova una sfrenata adorazione per l’unica figlia, Maria, di 8 anni. Quando a Cinecittà viene bandito un concorso per una parte, Maddalena decide di presentare sua figlia come candidata. Perduta in una labirintica citta...
Maddalena canta, è piena di vita e gode di totale libertà di movimento, il che è notevole considerando che in Italia il delitto d’onore è stato abolito solo nel 1981. È anche appassionata delle novità del cinema americano, e qui viene curiosamente citato Burt Lancaster, con cui anni dopo Anna Magnani lavorerà in La rosa tatuata. Il finale del film è tuttavia contraddittorio. Tutto torna nella normalità auspicata dalla morale dell’epoca: il matrimonio è salvo, la moglie è pentita e tutto sommato alla fine non è successo nulla di così grave, ma alcuni interventi della censura ci furono comunque. Una delle scene più riuscite rimane quella in cui Walter Chiari, in modo giocoso, cerca di conquistare la protagonista in riva al fiume. Per gli amanti della psicoanalisi c’è anche un omaggio al piede, che ritorna nell’inquadratura finale accarezzato dal marito Spartaco.
Sembra invece che i critici si siano concentrati quasi esclusivamente sul tema della condanna del mondo del cinema verso il magnete Cinecittà e le sue tentazioni, rivelate nel film come falsi miraggi da Liliana Mancini, che interpreta sé stessa nel ruolo di un’assistente al montaggio. Da notare come il concorso per Bellissima parta da un annuncio radiofonico, segno di una società dello spettacolo appena agli albori, dal sapore debordiano.
Ritengo ad ogni modo questo tema marginale: va forse letto come una dilagante aspirazione e una dominante speranza di migliorare le condizioni di vita dopo le asperità della guerra. Anche il dibattito sul fatto che si trattasse o meno di neorealismo appare secondario, laddove lo stesso Visconti ha fermato la polemica dichiarando che le sue uniche intenzioni erano di partire da una realtà sociale autentica e di avere come vero, pressoché unico soggetto Anna Magnani: «Volevo tratteggiare con lei il ritratto di una donna, di una madre moderna… Questo mi interessava, e in misura minore l’ambiente del cinema». Le spoglie rovine su cui cresce Cinecittà, la folla dai capelli lucidi di brillantina, i foulard, il miraggio della Lambretta… Reality di Garrone è ancora lontano!