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Enzo Jannacci

a cura diMassimo Macaluso
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  • venerdì, 8 settembre 2023

C’è un nome nel firmamento della musica d’autore italiana che è stato sempre un po’ misconosciuto e non valutato e amato come meritava per la sua grandezza, anche se recentemente Roberto Vecchioni, uno che di musica se ne intende, lo ha definito “l’unico grande genio musicale che abbiamo avuto”. Il che magari può sembrare anche eccessivo – e sicuramente Enzo, ovunque sia, se la starà ridendo – se pensiamo a Fabrizio De André, Lucio Dalla e Franco Battiato, solo per buttare li qualche nome non a caso.
Ma nell’iperbole qualcosa di vero c’è. Sicuramente il suo essere artista particolare a tutto tondo non ha mai avuto il giusto riconoscimento. A cominciare dalle case discografiche, che gli hanno sempre reso la vita difficile. Era un cantautore scomodo, Enzo Jannacci, perché non cantava solo di sentimenti e tristezze varie, passatismi cari a “quelli degli anni ‘60/‘70”, per parafrasare una sua vecchia canzone, ma più di altri era un artista nel senso completo della parola e, in più, non faceva sconti a nessuno, nemmeno, in primis, alla politica e ai politici, ma non solo. Nemmeno alle cause del malessere sociale, ai comportamenti e alle abitudini malsane della società dei suoi tempi, che forse era migliore di questa che stiamo vivendo adesso. Spesso corrosivo, addirittura urticante, ma anche soffuso di una dolce amarezza e comunque sempre dalla parte degli ultimi, dei rifiutati dalla società, con una mano sempre tesa verso gli umili e i disadattati.
Per questo non piaceva molto a chi fa business. Chi ti spara in faccia verità scomode, e non ti dà uno spiraglio di speranza o di riscatto, chi non ha pronto in tasca alcun happy end diventa scomodo e vende pochi dischi. Questa sua inderogabile urgenza di empatia la manifestava con un’estrema poliedricità. A partire dallo scegliere come lavoro quello del medico, professione che non ha mai abbandonato, per poi essere stato teatrante e cabarettista, utilizzando spesso l’allegoria per fare feroce satira politica e sociale, lavorando a stretto contatto con i più grandi di quel magico periodo, a partire da Gaber e passando per Dario Fo, per arrivare a tutti i maggiori esponenti del cabaret milanese di quegli anni. Ha ragione Vecchioni… se non il più grande, sicuramente un genio che ci manca tanto in questi anni difficili.

ENZO JANNACCI VENGO ANCH’IO

ENZO JANNACCI VENGO ANCH’IO

Prima medico e poi artista, come lui stesso amava definisrsi, Enzo Jannacci ha attraversato la storia musicale italiana con un’originalità travolgente. Dal sodalizio con Gaber alle collaborazioni con Cochi e Renato, Jannacci ha portato nel mondo una Milano brulicante di fer...

LEGGI
Enzo's Seven
El portava i scarp del tennis
(1964)

Una pennellata triste e feroce della vita di un reietto dalla società.

Ho visto un re
(1968)

Che dire? Il sarcasmo di Jannacci misto a quello di Dario Fo in una fiaba dissacrante. Che altro?

Vengo anch'io, no tu no!
(1968)

Vengo anch’io (no, tu no!) Ma perché? (Perché no!)

Messico e nuvole
(1970)

Una favoletta per liberi sognatori. Colonna sonora, peraltro, dei Mondiali del ‘70, rimasta nell’immaginario di chi li ha vissuti.

Vincenzina e la fabbrica
(1974)

Una delle canzoni più tristi scritte da Jannacci sull’alienazione della fabbrica. Struggente e bellissima.

Ci vuole orecchio
(1980)

Chi non sa stare a tempo, prego andare

Se me lo dicevi prima
(1989)

Quadretto intenso e inesorabile sul mondo del lavoro. Sembra scritto oggi.

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