Sono stato sul set de L’ammutinamento del Caine: Corte Marziale a febbraio. Friedkin girava in carrozzina perché aveva difficoltà circolatorie e c’era Guillermo Del Toro a fargli da regista stand-in, una sorta di assistente al regista titolare previsto dalle produzioni americane quando questi non è al 100% della forma.
Era l’ultimo giorno delle riprese, che Friedkin era riuscito a terminare con un paio di giorni di anticipo. Era davvero felicissimo ed entusiasta del lavoro che stava portando a termine, dopo dodici anni dall’ultimo suo lavoro, tra l’altro presentato a Venezia in Concorso appena due anni prima che gli tributassimo un meritatissimo Leone d’Oro alla carriera. Ciò che mi ha colpito ed emozionato è stata la grande adorazione di tutta la troupe nei suoi confronti: lo consideravano un Dio! Del resto non a tutti capita di lavorare con un simile gigante della regia. In questo piccolo studio, dove avevano ricostruito un’aula di tribunale militare, si respirava una venerazione nei suoi confronti che si faceva quasi tangibile. Nessuno poteva pensare di trovarci qui, ora, a piangerlo; è stato veramente un colpo brutto e inaspettato.