Anna, scritto e diretto da Marco Amenta, viene presentato alle Giornate degli Autori. Il film è stato prodotto dalla sorella del regista, Simonetta Amenta, con Eurofilm e realizzato con il supporto di Regione Autonoma della Sardegna, Fondazione Sardegna Film Commission, Eurimages, MIC Direzione Generale Cinema e Audiovisivo, Regione Ile de France.
Da dove nasce il soggetto del film?
Anna è liberamente ispirata a una storia vera, e racconta di una ragazza un po’ selvaggia, un po’ dura, un po’ spigolosa e anche molto libera nei costumi sessuali, che per questa ragione viene giudicata. Si scopre a poco a poco che Anna ha subito una violenza nel passato; è una persona ferita e come un animale ferito si rifugia in una fattoria, in un angolo remoto della Sardegna, una terra aspra, spettacolare. Un giorno dei mostri meccanici invadono la sua terra e vogliono distruggerla e allora lei forse inconsciamente, visceralmente risponde prima fisicamente e poi legalmente contro questa speculazione edilizia. È come se lei non volesse ricevere per la seconda volta una violenza: la prima volta è scappata, la ha subita, questa volta non la vuole subire più, si ribella. La sua non è una battaglia ideologica per l’ambiente come Greta Thunberg, la sua è una battaglia viscerale, la sua battaglia personale per riaffermare se stessa, per guarire dalle sue ferite. Inconsapevolmente lei comunque affronta il tema fondamentale della salvaguardia dell’ambiente. Salvare la bellezza e preservare la sua libertà si fondono nella battaglia di Anna, imponendole scelte difficili e rinunce dolorose. Nulla è in grado di comprare il rispetto di se stessi e delle proprie convinzioni. È una storia locale, ma a valenza universale. Una storia di resistenza contro il potere spregiudicato di un capitalismo cieco pronto a distruggere tutto. C’è lo scontro tra l’antico e il moderno, tra chi vuole dare credito al progresso incondizionato e chi ancora crede in una dimensione più arcaica che ha difficoltà a rimanere in vita.
Il tempo sembra sospeso in quell’angolo di Sardegna in cui Anna gestisce la piccola fattoria che era del padre. Lei è una donna che non vuole abbassare la testa e combatte per non essere schiacciata, non vuole essere una vittima, ma non è nemmeno un’eroina. Bella...
Come è stato girare in Sardegna?
È il mio secondo film girato in Sardegna e lo considero un privilegio. Ho lavorato benissimo con la Fondazione Sardegna Film Commission. Operano in maniera interessante e il loro è un lavoro meritocratico. In nessun’altra Regione c’è un accompagnamento alle riprese così attento sin dai primissimi sopralluoghi fino alla distribuzione dei film nelle sale. Competenza e passione sono delle costanti nel loro modus operandi. Per questo film ho voluto immergermi nei luoghi, in questa fattoria sperduta, in mezzo agli animali, alle capre. Ho chiesto anche all’attrice di stare in fattoria e di calarsi in questa dimensione per poter poi impersonare al meglio il personaggio di Anna. A me piace stare a lungo nei luoghi, imparare a conoscerli in maniera non superficiale, per prepararmi alle riprese, facendo convivere gli attori con quelle realtà.
Una storia vera diceva…
Una storia tipo Davide e Golia, di qualcuno che si è ribellato a una grande speculazione edilizia. Noi la abbiamo traslata sulla storia di una donna per renderla ancora più universale. Io vengo dal documentario, dal fotogiornalismo, quindi mi capita spesso di avere spunti reali, forti, che poi vanno trasfigurati in una dimensione cinematografica con una drammaturgia e una struttura narrativa forte anche se lo stile è rimasto un po’ aspro e la macchina da presa è un po’ dura, testarda, aspra come il personaggio, quindi non edulcorato, lo definirei uno stile neorealista. Anna non deve essere giudicata, è stata vittima di una violenza però non la ho voluta rendere come una persona da compatire. Non vuole essere una vittima, ma non è nemmeno un’eroina, per me contava tratteggiare un personaggio che fosse davvero una donna reale, con i suoi difetti e fragilità lontano da ogni stereotipo.