Cronache da nessun luogo

Storia del Novecento italiano nell’animazione di Simone Massi
di Davide Carbone
  • venerdì, 8 settembre 2023

Maestro dell’animazione in stop-motion Simone Massi ha realizzato la sigla ufficiale della Mostra del Cinema dal 2012 al 2016, e nel 2022 ha presentato Fuori Concorso i due cortometraggi A guerra finita e In quanto a noi. Torna quest’anno in Orizzonti con il suo primo lungometraggio, Invelle, il racconto del Novecento italiano visto attraverso gli occhi di tre bambini.

Da dove nasce l’idea di sviluppare la vicenda su tre piani temporali differenti?
La premessa doverosa è che non sono un autore che utilizza un metodo di lavoro consueto; parto spesso da suggestioni, ricordi di immagini o suoni che poi danno vita alle storie di cui parlo, con motivazioni che risultano misteriose persino per me. I tre segmenti che costituiscono la storia erano chiari dall’inizio, come mi era chiaro che il filo conduttore sarebbe stata la storia di questa famiglia che di generazione in generazione attraversa l’altra Storia, quella con la “s” maiuscola, trovandosi cambiata alla fine del percorso. Elemento cardine di queste tre diverse prospettive personali è stata di sicuro la scuola: si parte dalla prima protagonista che è analfabeta, si arriva alla seconda bambina che ha la possibilità di frequentare la scuola elementare per due classi, per finire alla terza generazione, che ci accompagna all’epoca più recente, in cui frequentare la scuola è la normalità.

Costante narrativa, qui è in altri suoi lavori, è la guerra: come ne ha scandito la presenza costante in questo film?
La guerra doveva essere presente, ma mi ero imposto di stare attento alla retorica. Non doveva essere identificata con un’uniforme, con degli ordini minacciosi che fanno accapponare la pelle, ma piuttosto con un qualcosa che sentivamo attraverso i discorsi, anche quelli a mezza bocca. Dai racconti che mi sono stati fatti traspare forte la paura, quella che ti faceva parlare a bassa voce anche tra le mura di casa. Per scelta, non avendo mai lavorato con i dialoghi, ho adottato conversazioni che nascono e muoiono nel giro di pochi secondi, il più delle volte sussurrate, che magari si interrompono bruscamente perché è successo qualcos’altro. Parlo di una guerra lontana, fin quando quelle figure accampate a qualche chilometro non irrompono nelle case dei protagonisti.

INVELLE

INVELLE

Ambientato in tre momenti storici differenti, Invelle è il racconto del Novecento italiano visto attraverso gli occhi di tre bambini: Zelinda, Assunta e Icaro. Zelinda è rimasta orfana di madre, morta di influenza spagnola nel corso della Prima guerra mondiale, ment...

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Il passaggio dal corto al lungometraggio. Quali sono state le nuove opportunità che ha percepito e le difficoltà incontrate?
È stato come passare da un haiku al romanzo. Difficoltà ce ne sono state tante per un progetto dalla gestazione molto lunga, almeno inizialmente. Lavorandoci mi accorgevo che ogni esigenza s’avvicinava molto alla forma del cortometraggio: l’operazione più difficile è stata arrivare a concepire ogni scena come un cortometraggio a sé stante e tenere tutto insieme attraverso un filo assolutamente nuovo per me, quello di una sceneggiatura articolata. Il lungometraggio mi ha piacevolmente obbligato a fare i conti con un lavoro di scrittura più profondo, che si è trasformato in un sogno ad occhi aperti. Era assolutamente arrivato il momento di provare qualcosa di nuovo, di diverso.

Come si è sviluppato il lavoro di doppiaggio, che vede coinvolti attori di primo piano del panorama italiano?
Sia per me che per la produzione è stato chiaro fin da subito che il film si dovesse fare nel dialetto pergolese, delle mie zone d’origine, quindi. Abbiamo cercato di coinvolgere molti paesani, anche miei familiari, persone che questo dialetto lo conoscessero bene. C’erano però personaggi che altrettanto chiaramente avrebbero dovuto parlare in italiano. Abbiamo così tentato un ‘colpo gobbo’ e confesso di essere stato travolto da un riscontro che faticavo anche solo a immaginare: Marco Baliani, Ascanio Celestini, Mimmo Cuticchio, Luigi Lo Cascio, Neri Marcorè, Giovanna Marini, Toni Servillo e Filippo Timi alzano indubbiamente il livello qualitativo del film. Artisti che si sono buttati anima e corpo nel progetto senza pretendere una sceneggiatura particolareggiata da poter studiare; se fossi una persona orgogliosa andrei in giro per il Lido a sventolare una bandiera. Non lo faccio, ma mi porto dentro una grande soddisfazione, prima umana e poi professionale.

Invelle, Simone Massi © Fusion Studio

Cosa ha portato alla scelta di una parola dialettale nel titolo?
Il raccontare le piccole cose, o le cose invisibili, ha caratterizzato tutta la mia produzione. Quando mi è stato dato il via libera per i dialoghi in dialetto, anche il titolo ha virato in quella direzione: credo che il termine “invelle”, che in italiano potremmo rendere come “in nessun posto”, fosse perfetto perché aderente ad aree geografiche che non si trovano nemmeno su Google Maps, paesini in cui ti imbatti solo sbagliando strada, legati a storie talmente invisibili da essere localizzate in “non luoghi”, in un “non spazio” e in un “non tempo”. La mia speranza era, ed è, che altre generazioni e altre culture potessero riconoscersi in quella che considero una storia universale, radicata nella terra, identificabile in Italia con il passaggio dalla civiltà contadina a quella industriale. Il legame con questo tipo di contesto non poteva che avvenire attraverso il dialetto.

I progetti futuri prevedono di proseguire sulla strada del lungometraggio?
Confermo quanto detto circa otto anni fa, in occasione del penultimo Nastro d’Argento che mi è stato conferito nel cortometraggio, cioè di non aver più nulla da chiedere alla forma del racconto breve, per motivi economici e anche espressivi. Non potevo più permettermi autoproduzioni e soprattutto volevo fuggire dal rischio di ripetermi, di andare avanti per inerzia, cosa che detesto quando la percepisco negli altri. Ormai la forma del cortometraggio la padroneggio bene, ho prodotto dei risultati e ottenuto riconoscimenti. Credo sia giusto ora andare avanti con altro, percorrere nuove strade. Avevo molto apprezzato l’annuncio di Quentin Tarantino relativo ad un suo ritiro, mi piace chi ha il coraggio di dire: «Basta così, quello che avevo da raccontare l’ho raccontato». Poi questo ritiro non c’è stato e va bene così. Per quanto mi riguarda sono convinto che il mio nuovo percorso sia decisamente aderente al lungometraggio: affrontare il lavoro di scrittura per questo esordio è una cosa che mi è piaciuta davvero moltissimo, è stato come entrare in tante teste e tanti corpi differenti, esplorare un mondo nuovo e respirarne l’aria.

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