Paesaggi che appartengono non solo al Brasile, ma a una dimensione interiore fatta di silenzi, pause e luce rarefatta: le tele di Patricia Leite (1955), nella personale curata da Milovan Farronato, non raffigurano luoghi, li sognano. Una cascata verticale diventa un pensiero che scende lentamente; una caverna si apre come un rifugio da cui osservare il mondo da lontano; i fuochi d’artificio tremano sull’acqua come ricordi sfocati. A Palazzetto Tito la pittura di Leite si adagia delicatamente, permettendo a ogni immagine di diventare una soglia, un respiro, un rallentamento del tempo.