«Se non ci fossero le apparenze, il mondo sarebbe un delitto perfetto». Jean Baudrillard, Il delitto perfetto
«93 tele di uguali dimensioni, 93 simulacri di oggetti, ferri del mestiere o avventizi, che il caso e la necessità hanno depositato sul banco di lavoro di Sophie Franza, istantanea del fluire del tempo nello spazio dell’operare dell’artista, origina da questa pervasiva presenza delle apparenze, dal mondo che quotidianamente ci è gettato davanti in forma di oggetti». (Bruno di Biase)
La mostra L’Établi (Il banco di lavoro) racconta il mondo artistico di Sophie Franza – nata a Grenoble (Francia), vive e lavora tra la Francia e Venezia –, la cui ricerca è basata sul rapporto tra riproduzione e rappresentazione delle immagini, in un gioco di rimandi e di interrogazioni tra pittura e fotografia. L’effetto ambiguo e straniante delle sue immagini è il marchio dell’affermata differenza tra la registrazione fotografica della realtà dell’obiettivo e la rappresentazione pittorica dell’occhio e la mano dell’artista.
In mostra alla Marina Bastianello Gallery ogni opera, ogni oggetto diventa un istante, anche casuale, di una storia o di tante storie. Secondo il modus operandi proprio all’artista, ogni elemento è stato estratto dal suo luogo originario e fotografato in bianco e nero in un contesto neutro, nell’arco di una sola giornata, seguendo il trascorrere della luce naturale, poi di quella artificiale. Ogni immagine fotografica è stata poi fotocopiata più volte in scala via via più maggiorata. Infine, la fotocopia finale è servita da modello per la trasposizione pittorica dell’immagine sulla tela. Franza nel suo fare arte rende il processo tecnico di cattura, trasformazione e alterazione dell’immagine parte sostanziale della sua poetica. Il confronto diretto è con l’immagine fotografica, con la quale l’artista si intrattiene in un corpo a corpo per rivendicare l’autonomia e la insostituibilità della figurazione pittorica nel processo di conoscenza del reale.
Sophie Franza offre così ai visitatori la sua personalissima poetica dell’immagine, in cui l’oggetto reale diventa immagine fotografica (riproduzione), fotocopia (degradazione) e infine opera (rappresentazione), lasciando aperto l’interrogativo sul reale e la sua rappresentabilità e restituendo all’oggetto un’aura di straniamento come vestigia di un mondo remoto e mitico.