Due emblematiche installazioni costituiscono il nucleo straordinario del nuovo capitolo autunnale de Le Stanze del Vetro. In Sala Carnelutti in Fondazione Giorgio Cini vengono letteralmente ricostruiti il celebre Velario realizzato nel 1951 per la copertura di Palazzo Grassi e formato da una serie di “festoni” con cavi d’acciaio e sfere in vetro cristallo balloton – smontato nel 1985, visibile in mostra per la prima volta dopo quasi quarant’anni –, e il monumentale lampadario a poliedri policromi, con circa tremila elementi, progettato nel 1961 dall’architetto Carlo Scarpa per il padiglione del Veneto all’esposizione di Torino Italia 61.Curata da Marino Barovier, Venini: Luce 1921-1985, che inaugura il 17 settembre a San Giorgio, offre un viaggio, dalla piccola alla grande scala, attraverso gli interventi più significativi nell’ambito dell’illuminazione, sia per uso domestico che per grandi ambienti pubblici e privati, dai palazzi ministeriali agli uffici postali, dai teatri agli alberghi, della celebre fornace muranese.Tra i protagonisti di questa narrazione figurano, tra gli altri, il pittore muranese Vittorio Zecchin, con la sua raffinata rielaborazione del lampadario a bracci nei primi anni ‘20; lo scultore Napoleone Martinuzzi, con i suoi originali manufatti in vetro pulegoso del 1928-30, a cui seguirono l’architetto Tomaso Buzzi e l’architetto Carlo Scarpa, che vanta una lunga collaborazione con la vetreria conclusasi nel 1947.Negli anni ‘50 venne ulteriormente confermato il rapporto privilegiato tra i progettisti e la fornace muranese, a cui si rivolsero architetti come Gio Ponti, Franco Albini, Ignazio Gardella e lo studio BBPR. Negli stessi anni, Paolo Venini chiamò in vetreria anche giovani provenienti dalla Scuola di Architettura di Venezia come Massimo Vignelli, che disegnò una serie di lampade ispirate al design nordico, rivisitato in chiave muranese.Dalla fine degli anni ‘50 vennero sviluppati apparecchi realizzati con elementi modulari a partire dai famosi poliedri, di grande successo commerciale, accanto ai quali, grazie anche al lavoro di Ludovico De Santillana entrarono progressivamente in catalogo fino agli anni Ottanta moduli come le gocce, le canne piene, le canne vuote con diverse sezioni, dimensioni e finiture, ma anche cubi e piastre che consentirono l’esecuzione di svariate tipologie di apparecchi: dalle sospensioni, alle lampade a parete, da grandi installazioni a soffittature luminose.