Mettetevi comodi e non preoccupatevi troppo se non conoscete bene la trama di questa meravigliosa opera di Jean Cocteau messa in scena da Filippo Dini, Direttore del Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale.
E finché aspettate che cali il sipario del Teatro Goldoni (in scena 7, 8 e 9 febbraio), pensate alla vostra famiglia o a quella dei vostri vicini di casa, oppure a quella del vostro migliore amico, alla fine dello spettacolo non troverete nulla che si discosti dal groviglio di sentimenti nel quale anche voi stessi vi trovate a vivere.
Possiamo definire questo spettacolo un dramma che sfocia in tragedia perché, di fatto, il morto ci scappa, ma non fermiamoci troppo a ragionare sul triste finale, rimaniamo a osservare i personaggi, descritti e indagati con maestria dall’autore. Jean Cocteau è stato un drammaturgo, un attore, sceneggiatore, disegnatore, ma soprattutto poeta e scrittore. Attraverso la sua sensibilità ha raggiunto l’inesprimibile delle azioni umane tratteggiandone con la penna i movimenti più impercettibili. Con le sue opere (e qui lo fa in modo magistrale) è riuscito a darne il rilievo sfuggito agli altri. Nella spiccata capacità di indagare nella profondità del cuore, Cocteau esalta tutti i vizi e le virtù dell’uomo senza fare sconti a nessuno, ma anche quando restituisce con le azioni e linguaggio il peggio di ogni soggetto, riesce comunque a riplasmarlo attraverso uno sguardo mite e ironico, sollecitando allo spettatore – noi – quell’indulgenza che spesso ci sfugge nella vita.
La trama si snoda all’interno di una famiglia, che in questa scenografia teatrale viene descritta come “famiglia carrozzone” (dove nessuno lavora) e che oggi potremmo definire con il termine più contemporaneo: “famiglia disfunzionale”. Tutti i personaggi si muovono in maniera sincopata, i dialoghi sono sempre molto accesi (alle volte forse urlano anche troppo), sembra che tra madre, padre, figlio e zia, non si riesca a intavolare un discorso pacifico e che anche il più semplice dei ragionamenti diventi uno scrutinio l’uno verso l’altro. Il padre Georges (Filippo Dini), simbolo della famiglia patriarcale, non è né marito, né padre (forse solo cognato) e lo dimostrerà nel concreto: abdicherà ai ruoli familiari innamorandosi di una ragazza coetanea del figlio. La moglie, Yvonne (Mariangela Granelli), appare una donna instabile, passionale, morbosamente innamorata del figlio Michel (Cosimo Grilli) sul quale dirotta tutte le sue attenzioni, ma soprattutto sul quale vuole mantenere il più totale controllo. Il ragazzo è deluso dalla latitanza paterna e riuscirà a risolversi solo nel momento in cui incontrerà l’amore. In tutto questo chiasso la zia Léonie (Milvia Marigliano), l’unica che sostiene economicamente la baracca e che cerca anche di mettere in ordine le cose, si muove con quel calcolo che la fa sembrare priva di sentimento ma… sarà proprio lei l’artefice dell’incontro con Madeleine (Giulia Briata), giovane figura femminile che giocherà un ruolo decisivo in tutto questo quadretto folle, diventando alla fine il detonatore della tragedia.
La visione dello spettacolo è molto rilassante, l’arredamento ricorda vagamente uno stile nordico e le scenografie vengono mosse in un moto fluido. A tratti si viene risvegliati da particolari effetti di luce, ma soprattutto da insinuanti interrogativi riguardo un tema che coinvolge noi tutti: esistono davvero le famiglie perfette o siamo tutti umani indecifrabili?
Intervista a Filippo Dini, neodirettore artistico del Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale
Filippo Dini alla guida della direzione artistica della Fondazione Teatro Stabile del Veneto