Autore di alcuni capisaldi della cinematografia mondiale recente, Peter Weir riceve l’omaggio di Alberto Barbera e della Mostra del Cinema di Venezia.
Le sue opere sono intrise di un senso di mistero e meraviglia che accoglie la complessità della vita e della condizione umana. Narratore di anime, esploratore di profondità emotive e culturali, abile architetto di emozioni e atmosfere, a Peter Weir va il Leone d’Oro alla carriera della prossima Mostra del Cinema. Il direttore Alberto Barbera ha motivato il riconoscimento descrivendo il regista e sceneggiatore australiano come fautore di un cinema «in grado di coniugare la riflessione su tematiche personali e l’esigenza di rivolgersi ad un pubblico il più vasto possibile», un cinema «insieme audace, rigoroso e spettacolare». Nato a Sydney nel 1944 (compirà ottant’anni il 21 agosto, a pochi giorni dalla Mostra) Weir inizia il suo viaggio nel mondo del cinema negli anni ‘70, un periodo d’oro per il cinema australiano, che lo vede capofila della cosiddetta Australian New Wave. Il suo primo successo internazionale, Picnic at Hanging Rock (1975), un thriller enigmatico ambientato in una scuola femminile vittoriana, svela il suo talento unico nel creare atmosfere suggestive e inquietanti. La pellicola, basata sull’omonimo romanzo di Joan Lindsay, è diventata un cult, celebrata per la sua fotografia eterea e la narrazione sfuggente. Nel 1985, con Witness – Il Testimone, Weir fa il suo ingresso a Hollywood dirigendo Harrison Ford in una delle sue interpretazioni più memorabili. Il film, che racconta la storia di un poliziotto che trova rifugio in una comunità Amish, mescola il thriller con il dramma culturale, guadagnandosi otto nomination e due premi Oscar (per la sceneggiatura e il montaggio).
In L’attimo fuggente (1989), con Robin Williams e un esordiente Ethan Hawke, Weir esplora il potere trasformativo della poesia e dell’educazione, ispirando generazioni di spettatori a “cogliere l’attimo”. E poi arriva il capolavoro. Con The Truman Show del 1998, alle soglie del nuovo millennio, il regista anticipa temi di grande attualità come la sorveglianza e la realtà virtuale, raccontando la storia di un uomo la cui vita si rivela essere un gigantesco reality show. La pellicola, che valse a Jim Carrey un Golden Globe, è considerata una delle più profetiche e influenti degli ultimi decenni. Qualche anno dopo, nel 2003, Weir affronta le sfide dell’epica marinaresca. Il suo Master & Commander, basato sui romanzi di Patrick O’Brian, con Russell Crowe nel ruolo del capitano Jack Aubrey, dipinge un affresco dettagliato e avvincente della vita in mare e delle dinamiche di comando e amicizia tra i membri dell’equipaggio. Dopo The Way Back del 2010, storia di un gruppo di soldati polacchi in fuga da un gulag siberiano durante la Seconda Guerra mondiale, Peter Weir si è chiuso in un silenzio creativo e recentemente ha annunciato il suo ritiro dal cinema: «Molto semplicemente, non ho più energia». Ma il mondo del cinema ha continuato ad attribuirgli premi e riconoscimenti, fino all’Oscar onorario dell’Academy nel 2023, forse una sorta di tardiva ammenda per i molti Oscar mancati. E ora lo aspettiamo al Lido per l’ambito e meritatissimo Leone.