Allineamenti planetari

Susanne Franco e Annalisa Sacchi raccontano Asteroide Amor
di Massimo Bran

Giunta alla sua seconda edizione, la rassegna teatrale Asteroide Amor, nata dal progetto Giovani a Teatro della Fondazione di Venezia, è curata da Susanne Franco, Delegata della Rettrice alle Attività teatrali di Università Ca’ Foscari, e Annalisa Sacchi, Direttrice del corso di laurea in Teatro e Arti performative presso lo IUAV.

Una sinergia virtuosa, quasi un “allineamento tra pianeti” che non solo coinvolge i due Atenei cittadini, ma anche il Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale. Tre attori che, guidati da Fondazione di Venezia e dal suo Direttore Giovanni Dell’Olivo, si sono proposti di fare sistema con il duplice obiettivo di offrire alla Città metropolitana, e in particolare ai giovani che la abitano, una selezione di spettacoli rappresentativi della scena contemporanea italiana e internazionale e al contempo di sottolineare il ruolo del teatro quale potente strumento di riflessione collettiva e condivisa sul nostro presente, animata dalle suggestioni offerte dagli artisti.
Come gli Asteroidi Amor, che sfrecciano sfiorando l’orbita della Terra e di altri pianeti, gli spettacoli della rassegna si manifestano in più luoghi della città, dalla “casa madre” il Teatro Ca’ Foscari a Santa Marta al Teatro Goldoni, dal Teatro Piccolo Arsenale a Palazzo Grassi – Punta della Dogana, passando per gli spazi dell’area portuale, connettendo mondi diversi attraverso suggestioni e impulsi della scena contemporanea.
Tra aprile e maggio saranno protagoniste in scena la compagnia romana Muta Imago, la performer scozzese Genevieve Murphy e l’artista cilena Manuela Infante.

Quali sono le linee di fondo curatoriali che caratterizzano e informano la vostra programmazione teatrale e in quale relazione si pongono con la vocazione formativa costitutiva del vostro lavoro all’università?
Susanne Franco: Il nostro lavoro all’università si divide tra didattica, ricerca e quella che viene definita “terza missione” ovvero tutte le attività che mirano alla disseminazione dei risultati delle ricerche, alla formazione continua extra accademica e al coinvolgimento diretto della società civile per assicurare che il mondo universitario sia in costante e stretto legame con il territorio che lo ospita. Il teatro è uno dei dispositivi più efficaci in questo senso e Ca’ Foscari ha la fortuna di avere un teatro che vanta, peraltro, una lunga storia. Asteroide Amor è stata l’occasione per ripensare a come potenziare al massimo la presenza del Teatro di Ca’ Foscari a Santa Marta a Venezia e nella città metropolitana aumentando il raggio di azione e puntando ad avere compagnie e artisti che portano spettacoli scelti sia per i temi che affrontano sia per i linguaggi che usano e le estetiche che sperimentano. Quest’anno, per esempio, abbiamo dato ampio spazio alle questioni ambientali, che a Ca’ Foscari sono oggetto di attenzione grazie a corsi di laurea dedicati e ad ambiziosi progetti di ricerca internazionali, e in particolare collaboriamo con il The New Institute – Centre for Environmental Humanities. Come docente e come curatrice considero questi spettacoli occasioni preziose per far fare allo spettatore un’esperienza insieme sensoriale ed emotiva attorno a temi cogenti, oltre che per stimolare riflessioni. La speranza è che possano contribuire a farci affrontare con più consapevolezza e collettivamente il futuro. Penso a questa linea curatoriale come a un percorso che tracciamo in dialogo tra noi due ma sempre in ascolto dei colleghi e degli studenti, che a lezione pongono domande e condividono ansie, speranze, visioni. Asteroide Amor funzionerà se farà da cassa di risonanza a questi discorsi e nutrirà alcune di queste curiosità.

Considero questi spettacoli occasioni preziose per far fare allo spettatore un’esperienza insieme sensoriale ed emotiva attorno a temi cogenti, oltre che per stimolare riflessioni.

Annalisa Sacchi: All’Università IUAV il corso di laurea magistrale in Teatro e Arti performative, che dirigo da alcuni anni, è una realtà speciale a livello europeo. Siamo state le prime a introdurre in Italia insegnamenti in Curatela delle arti performative ad esempio, ma in generale temi come la decolonizzazione, le ecologie politiche e i saperi di genere sono centrali nei nostri curricula. Lavoriamo a contatto stretto con le pratiche: ogni anno abbiamo artisti e compagnie internazionali che fanno parte del corpo docente, oltre a professionist* della curatela che, ad esempio, dirigono festival importanti. Il dialogo tra questi ambiti fa dunque intimamente parte del nostro mandato formativo.
Del resto, lo vediamo sempre più intensamente a livello internazionale, la relazione tra pratiche artistiche, pedagogie e processi curatoriali è ormai considerata generativa e necessaria anche all’interno delle istituzioni accademiche.

Una imagen interior, El Conde de Torrefiel © Nurith Wagner-Strauss

Asteroide Amor: da dove viene la scelta di questo intrigante titolo per la rassegna 2023?
AS:
Il teatro è sempre stato un corpo alieno, insieme vicinissimo ed estraneo al mondo per cui, anche quando assistiamo a opere prodotte dall’immaginazione di un autore vissuto duemilaseicento anni fa, continuiamo a riconoscere qualcosa di intensamente familiare. Siamo partite da qui, e Giacomo Covacich, creative director di B.R.U.N.O e autore dell’immagine coordinata di Asteroide Amor, è arrivato col titolo, che evoca questi corpi celesti dotati di un’orbita per cui periodicamente si approssimano a quella della Terra, senza mai toccarla. Una prossimità affettiva – amor – nelle distanze cosmiche.

SF: Questi Asteroidi sono come mondi oltre al mondo, perennemente prossimi e insieme eternamente alieni. Ci invitano a spostare il punto di osservazione da cui è possibile avere visioni inedite. Ho l’impressione che questa sia la sensazione che provano non pochi spettatori di fronte a proposte spesso lontane da quelle che hanno conosciuto e sperimentato, proprio perché vengono da ricerche artistiche in corso e da contesti altri. La scommessa per noi consiste nel convincerli a tornare e a rimettersi in gioco ogni volta.

Non solo eterogeneità delle rappresentazioni, ma anche importanti nomi con una presenza generazionale assai trasversale. Oltre al binomio giovani artisti/giovani spettatori, quale altro pubblico di riferimento vi piacerebbe riuscire a portare a teatro?
AS:
La tensione e la visione di partenza di Giovanni Dell’Olivo, direttore della Fondazione di Venezia che per prima e fortemente ha voluto questo progetto, è stata rivolta al pubblico giovane, e da qui deriva la collaborazione con le nostre università. Bisogna però intendersi su cosa sia questa perimetrazione anagrafica, bisogna essere all’altezza delle domande che si aprono nelle generazioni che ci danno il cambio. Immaginare un progetto “giovani a teatro” infatti non vuol dire “portare i giovani a teatro”, ripetendo e trasmettendo moduli culturali ormai esausti, che giustamente le nuove generazioni disertano. Vuol dire creare un programma in cui le tensioni che galvanizzano il nostro presente e determinano il nostro futuro sono presenti in forma essenziale, a volte addirittura folgorante. Ma vuol dire anche saper leggere e tradurre in forma diffusa (non solo per un certo gruppo generazionale) i lavori che abbiamo scelto perché siano fruibili per tutt*.  Lo abbiamo visto avvenire già col programma dell’anno scorso, quando un teatro imponente come il Goldoni è stato affollato fino agli ultimi ordini per Tutto brucia dei Motus. E poi il pubblico si ferma a lungo, all’aperto, per prolungare quell’esperienza, per discuterla, per elaborare quello che ha visto. Dovremmo moltiplicare questi momenti, estenderne la durata, includere pubblici ancora più trasversali.

SF: Per noi che viviamo e lavoriamo a Venezia vedere i nostri teatri pieni di studenti e di giovani in generale è un segnale che la città esiste ed è viva malgrado le allarmanti trasformazioni in atto. Coinvolgere questa fascia di pubblico resta un obiettivo prioritario proprio perché calato in una realtà molto delicata, dove l’età media è un dato su cui riflettere così come lo spazio fisico, sociale e politico lasciato alle nuove generazioni. L’idea di disseminare la rassegna in più luoghi e in larga parte non specificamente teatrali (da Palazzo Grassi al Piccolo Teatro Arsenale, dal cortile di Ca’ Tron a Palazzo Trevisan degli Ulivi) è un modo per intercettare pubblici di volta in volta diversi e farli interagire tra loro. In questo senso Asteroide Amor funziona un po’ come un reagente chimico. Per ora la disseminazione sta dando risultati positivi non solo in termini numerici.

Maqam, mk/KLm © Andrea Macchia

Quale il ruolo di Asteroide Amor in città rispetto allo sviluppo e alla ricerca di nuovi linguaggi performativi oggi?
AS: Oltre alla Biennale e ad alcuni eventi importanti legati alla performance, programmati da istituzioni private (penso in particolare a Palazzo Grassi e Ocean Space, con cui infatti collaboriamo) il pubblico non ha molte occasioni di incontrare la creazione contemporanea. Allo stesso tempo, le infrastrutture necessarie alla nascita di una nuova generazione artistica che lavori con la danza e la performance sono molto limitate in città, e così pure gli spazi per le prove. Perché possa formarsi un ecosistema artistico fatto di student*, artist*, ricercator* e pubblico non specializzato è essenziale creare le condizioni di una tessitura relazionale continua. Un programma come quello di Asteroide Amor è un gesto in questa direzione.

SF: Asteroide Amor si inserisce in una stratificazione temporale fitta di programmazioni ed eventi teatrali in città. Si pensi solo al ruolo cruciale che ha avuto il Teatro Fondamenta Nove, che è stato un punto di riferimento importante e luogo di incontri e scoperte decisive, anche per chi poi si è messo in gioco professionalmente in questo ambito come studioso, critico, curatore o artista. In occasione di alcune serate della rassegna, gli spettatori che frequentavano assiduamente il Teatro Fondamenta Nove si sono riconosciuti tra loro anche come membri di quella comunità, che sembra riconfigurarsi nella trasformazione inevitabile. Vecchi e nuovi sguardi si intrecciano e i commenti a spettacolo finito restituiscono questa storia e le loro storie di questi spettatori. Penso che il teatro contemporaneo serva soprattutto a rielaborare il passato, interrogare il presente e immaginare il futuro, e il fatto che Asteroide Amor accada in questi anni a Venezia mi rende particolarmente felice.

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