Finché c’è ancora musica

Con il Celebration Tour, Madonna ritrova la sua identità e festeggia la vita
di Riccardo Triolo

Due concerti sold out al Mediolanum Forum per Madonna: la regina del pop ha ancora molto da dire e da fare.

Stavolta Madonna si svela. E si rivela. Nata nel solco dell’edonismo anni Ottanta, l’icona pop per antonomasia è tornata per opporre all’imperativo di godimento imposto dalla legge del Capitale una narrazione di sé fiera e sincera che finalmente la libera e la redime. Il suo Celebration Tour, passato di recente per Milano, è un’autobiografia transmediale, un lungo dj set in forma di musical che consente alla star di ricomporre la propria soggettività, da sempre volutamente dispersa in un gioco di mascheramenti che in quarant’anni di carriera l’hanno vista demolire sistematicamente ruoli e cliché, approdando però a un’opacità quasi indecifrabile. Ora, in questo racconto accorato in cui alla performance si alternano momenti di autonarrazione e di dialogo con il pubblico, Madonna finisce per svelarsi, rivelando il suo innegabile spessore culturale ed artistico, la cui forza risiede proprio nell’aver saputo incarnare la contraddittorietà di un sistema socio-economico che dagli anni Ottanta a oggi ha mostrato tutta la sua ferocia. Madonna ha sempre rappresentato la luminosa contraddizione che la pop culture, emanazione diretta del capitalismo, ha sempre portato con sé, trovando la chiave perfetta per esprimerla: quella morale pubblicitaria del divenire continuo (le mille maschere, i mille travestimenti) che ha finito per sgretolare la soggettività e favorire una partecipazione epidermica, superficiale ed edonistica ai fatti del mondo.

Un delirio multi identitario, in fondo tragico, che ha finito con l’incontrare il proprio limite nel corpo stesso della diva, nella presa d’atto dell’ineluttabilità della fine. Presa d’atto che incornicia tutta l’architettura drammaturgica del Celebration Tour, un puzzle tardo capitalistico che Madonna ha ideato e messo in scena nell’ultimo atto della sua esperienza artistica, dopo aver sfiorato la morte per un’infezione batterica l’estate scorsa. E così, dalla New York degli anni Ottanta, dove ancora contava la presenza, l’esserci, da quella cultura che generò il vitalismo underground di Haring e Basquiat e tutta la pop culture come tentativo perpetuo di risimbolizzazione dell’imperativo dominante, si passa subito alla coscienza del limite, della morte: l’AIDS come mesta mietitrice di vite travolte dall’inebriante legge del piacere obbligato.
In un’operazione musicalmente (Stuart Price è un maestro assoluto) e drammaturgicamente molto riuscita e toccante, Madonna mescola i suoi successi senza rispettare l’ordine cronologico delle canzoni, anzi inseguendo uno degli stilemi tipici della pop culture – la risemantizzazione, il remix – e dà vita a un’autobiografia multimediale ironica, nostalgica, libera e sincera che somiglia più a una redenzione (più volte evocata) che a un tramonto. E mentre emerge un nuovo imperativo – «No fear» – questa volta più intenzionalmente audace e forte, perché contrario alla retorica della paura oggi dominante, a portare lo show verso il finale è una virata futuristico-metafisica, in un quadro che ammicca al metaverso e a dimensioni post-umane che forse segnano il passo al nuovo terreno di gioco – e di lotta – del Capitale.

La via d’uscita da questo fantasmatico labirinto di specchi, che per più di due ore ci proietta nel vastissimo scenario di riferimenti culturali di cui si compone l’identità frammentaria di Madonna, sta in un finale subitaneo, quasi repentino: una Madonna circondata dalle mille versioni di sé, con cui si spende in affronti beffardamente autoerotici, rivendica la propria unicità e rapidamente svanisce, inghiottita dal palco, lasciando tutti un po’ interdetti per la rapidità con cui giunge, inevitabilmente, la fine della festa.
Un finale che, a seguito dei numerosi appelli alla preziosità dell’esperienza della vita lanciati dal palco a parole nei frequenti momenti in cui la diva si racconta e si svela, sembra un invito rivolto al pubblico a gioire della propria esistenza e della propria identità, non importa per quanto tempo. Si balla finché c’è ancora musica.