Il potere della vulnerabilità

Boris Nikitin porta in scena sé stesso, tra palco e realtà
di Chiara Sciascia

Invitato alla 51. Biennale Teatro il regista Premio Svizzero per il Teatro nel 2020, Boris Nikitin presenta due sue creazioni-manifesto: Attempt on dying (Sul morire), da lui stesso interpretato, e Hamlet con il performer Julia*n Meding.

Nato nel 1979 e cresciuto a Basilea, in una famiglia di immigrati che incrocia origini ucraino-slovacco-franco-ebraiche, regista, autore, saggista, Premio Svizzero per il Teatro nel 2020, Boris Nikitin svolge la propria ricerca all’intersezione tra performance e teatro, finzione e realtà, illusione e documentazione, dilettantismo e virtuosismo attoriale, mettendo costantemente in discussione i codici della creazione e fruizione teatrale.

A Basilea ha ideato e diretto il festival It’s The Real Thing – Basler Dokumentartage, dedicato ai più innovativi lavori teatrali e performativi con approccio documentaristico, facendo luce sui vari modi in cui produciamo e rappresentiamo realtà diverse nella politica, nei media, nella scienza, nelle storie o nell’arte. L’opera di Nikitin si fonda sulla sua personale visione della “vulnerabilità”, che reinterpreta non come difetto, ma come abilità straordinaria: il potenziale che trasforma le persone in entità politiche e poetiche, la capacità di manifestarsi, documentarsi, rendersi visibili e vulnerabili alle critiche e agli attacchi, e quindi di intervenire sulla realtà.

Hamlet, Boris Nikitin © Donata Ettlin

I due spettacoli presentati al Festival, Attempt on dying (Sul morire) e Hamlet, sono creazioni-manifesto del regista svizzero, che salirà sul palco in prima persona, traducendo appunto in realtà la propria visione. Se Hamlet infatti mette in scena Julia*n Meding, performer e musicista elettronico, nei panni di un ribelle Amleto contemporaneo, che mostra sé stesso, il proprio corpo, la sua biografia in una performance a metà tra teatro musicale punk-queer e documentarismo, Attempt on dying vede protagonista proprio Nikitin e la sua personalissima autobiografia.

Il monologo è scarno, la scenografia assente, un’unica sedia, jeans e t-shirt, ma l’attore-autore-regista è ‘nudo’ di fronte alla platea. Senza filtri racconta la storia di suo padre, morto di SLA nel 2016, o meglio degli ultimi mesi della sua vita, quando l’uomo espresse la volontà di ricorrere al suicidio assistito – legale in Svizzera –, una dichiarazione che cambiò tutto: «imparare a vivere imparando a morire. Non è necessario essere per essere finalmente in grado di essere». Infrangere un tabù ha un potere liberatorio, e Nikitin collega il coming-out del padre, con il suo coming-out di 20 anni prima, quando esternò la propria omosessualità in un’intima e radicale riflessione teatrale sul superamento dei limiti della vergogna, sull’importanza di uscire dalla propria comfort-zone per mostrarsi ed esistere.
Il coming-out è un diritto ma anche un dovere verso il prossimo, strumento indispensabile per entrare in contatto con l’altro e per il necessario superamento di un confine che spesso ci autoimponiamo.

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