Intelligenza naturale

Il ragazzo e l’airone di Hayao Miyazaki
di Riccardo Triolo

Il ritorno al cinema di un autore visionario, genio dell’animazione impareggiabile nel rapire lo sguardo su una realtà fatta di segno e poesia.

Miyazaki compie 83 anni proprio in questi giorni e torna nelle sale con Il ragazzo e l’airone, ultima opera d’animazione dopo S’alza il vento, che avrebbe dovuto segnare il suo addio al cinema. Il punto non è tanto chiedersi in quale relazione sia quest’ultima fatica con la produzione precedente del maestro e fondatore dello Studio Ghibli, semmai c’è da chiedersi cosa quest’opera stratificata significhi oggi, per il pubblico, per il cinema d’animazione e per l’arte dell’immagine in movimento tutta. I motivi che possono aver spinto il maestro a mettersi nuovamente alle matite possono essere molteplici e personalissimi, ma data la libertà espressiva e produttiva che Miyazaki ha conquistato in decenni di capolavori, un’opera come Il ragazzo e l’airone è lecito pensare viva di quell’autonomia linguistica e simbolica che si dà soltanto ai frutti maturi di un genio creativo unico e ineguagliato, la quale appunto ha l’opportunità di poggiare la propria costruzione semantica su di un’impalcatura simbolica solidissima, in grado di dialogare autonomamente e fondatamente con il linguaggio stesso entro cui si produce. Con Il ragazzo e l’airone, Miyazaki si pone in dialogo quindi non solo con la sua opera precedente, ma con tutto il cinema d’animazione – non solo Ghibli e non solo giapponese – inteso come espressione umana svincolata da ogni imperativo di realismo e di plausibilità, ma anche scevra di ogni deriva fasulla, illusionistica ed impersonale che sembra plasmare molto cinema – d’animazione? ibrido? – prodotto grazie al ricorso alla CGI e all’IA. Miyazaki pone in diretta relazione l’atto creativo umano con l’artigianalità e la personalizzazione del linguaggio, in piena antitesi con la corsa alla verosimiglianza e all’iper realismo di matrice macchinica e impersonale che sembra scaturire da certo cinema digitale di fattura per lo più hollywoodiana. E lo fa sembrare quasi con consapevolezza, con splendida cocciutaggine.

Il ragazzo e l’airone è un racconto di formazione, innanzitutto. Un racconto che mette in scena il processo creativo come atto necessario al completamento della personalità umana. Il film si dipana tutto nella testa – squarciata – del protagonista: sono le sue splendide derive psichiche, le dimensioni insondabili e umanissime dell’immaginario, in cui il simbolico personale si fonde al simbolico universale, i veri dispositivi creativi a disposizione di ogni essere umano. Sono questi dispositivi a dover essere attivati ritrovare l’unità umana, per crescere nell’integrità naturale. E se nell’età dell’adolescenza questa straordinaria energia psichica è destinata ad essere domata dalla razionalità, da un principio gerarchico logico, è solo accettando la sfida di perdersi per un frangente, per un arco temporale soggettivo nel caos psichico che possiamo riemergere più forti e più autentici, ritrovare la nostra origine e creare qualcosa che prima non c’era, la nostra identità, la nostra unicità. La matita di Miyazaki, mai così controllata e coerente nell’apparente illogicità del testo narrativo, è lo strumento personalissimo, significativamente analogico, che ci riporta a contatto con la forma di intelligenza più potente al mondo, quella vasta intelligenza naturale – non solo umana, siamo pur sempre nella cornice del folklore giapponese, per quanto qui le intenzioni sembrino più universalistiche – che con la sua potenza creatrice primaria, con la sua forza visionaria imprevedibile, con la sua fittissima rete di connessioni intuitive, non teme confronti con nessun altro agente intelligente esistente o futuro, artificiale o post umano. Il mondo orgogliosamente artigianale, felicemente soggettivo – e quindi compiutamente universale –, furiosamente illogico e tenacemente panista che prende vita dal gesto creativo di Miyazaki film dopo film sembra rivendicare oggi la sua necessità. E tutto il suo cinema, figlio della rivoluzione tecnologica che ha investito il Giappone dal secondo dopoguerra, ci appare oggi, nel pieno della rivoluzione tecnologica globale, improvvisamente più denso e pregnante.