La mostra Modernismo tropicale: architettura e potere in Africa occidentale, al Padiglione delle Arti Applicate in Arsenale, centra perfettamente uno dei temi nodali del Laboratorio del Futuro di Lesley Lokko, la decolonizzazione. Ce ne parla il curatore Christopher Turner.
La mostra ruota attorno all’influenza che il Modernismo tropicale ebbe in molti paesi dell’Africa occidentale e in particolare in Ghana. Che percorso segue la vostra narrazione?
La mostra approfondisce il modo in cui le invenzioni e le innovazioni del Modernismo tropicale influirono sull’architettura dei paesi dell’Africa Occidentale, concentrandosi sulle figure di Maxwell Fry e Jane Drew, due architetti inglesi che dopo la Seconda guerra mondiale lavorarono in Paesi quali Gambia, Sierra Leone, Nigeria, Ghana. In particolare Maxwell Fry, che ebbe l’occasione di lavorare con Walter Gropius durante una breve visita di quest’ultimo a Londra, riuscì a perfezionare lo stile internazionale appreso dall’architetto e urbanista tedesco adattandolo alle condizioni calde e umide del clima tropicale. Insieme a Jane Drew, Fry contribuì in seguito a diffondere il nuovo stile architettonico in Africa grazie ad un fondo, calcolato in sei miliardi di sterline al valore odierno, destinato a progetti di sviluppo nei possedimenti coloniali britannici. Un capitale talmente consistente da permettere a Fry e Drew di costruire scuole, università e altri edifici a ritmo incalzante, una situazione favorevole che non si sarebbe mai potuta allora verificare nel loro paese e che, in un certo senso, trasformò le colonie in una sorta di laboratorio del Modernismo.
Ci siamo concentrati anche sul contesto politico dell’epoca, un momento di grandi spinte anticoloniali: boicottaggi, rivolte e scioperi si stavano moltiplicando ovunque in Africa occidentale. Kwame Nkrumah, il primo Presidente della neonata Repubblica del Ghana, si mise a capo di un movimento politico che invitava le persone a contrastare l’oppressione coloniale. Molti degli edifici disegnati da Fry e Drew in quel periodo sono stati costruiti proprio in seguito ad alcuni degli avvenimenti più cruenti in atto allora nel Paese. Il Community Centre di Accra, ad esempio, fu costruito dopo che il quartiere generale della United Africa Company era andato distrutto dal fuoco durante una rivolta particolarmente violenta. È interessante notare come il Modernismo tropicale abbia resistito a questa transizione, agendo come simbolo della nuova nazione africana, internazionale e progressista che stava per irrompere sul proscenio mondiale. Ci sembrava importante rilevare anche alcuni dati più specifici attorno ai percorsi professionali degli architetti modernisti rimasti a lavorare in quell’area dopo il 1957, anno in cui in Ghana divenne il primo paese indipendente dell’Africa sub-sahariana: quanti di loro si formarono localmente? Quanti impiegarono il cemento, materiale non comune nelle pratiche locali, per le loro costruzioni?
La nostra ricerca si sofferma inoltre sulla decisa politica di africanizzazione operata da Kwame Nkrumah, il quale fece costruire una grande quantità di edifici ad uso comunitario, come scuole o chiese ma anche grandi monumenti per celebrare l’indipendenza, stabilendo che ad ogni singolo progetto dovesse partecipare almeno un architetto ghanese. Man mano che l’influenza europea si faceva meno forte, anche dal punto di vista estetico, gli architetti iniziarono ad adattare i canoni del Modernismo tropicale a stili più africani. Si cercava di combinare l’architettura tradizionale del luogo incorporandola nei progetti modernisti. Nkrumah credeva fortemente nell’ideale panafricano e questi edifici dovevano rappresentare un segnale di speranza per la nuova Africa libera che aveva immaginato e che intendeva contribuire a costruire. Voleva che il Ghana fosse di esempio per il resto dell’Africa e affermava che il conseguimento della libertà nel suo Paese non avrebbe avuto pieno senso se non avesse fatto parte di un più ampio processo di emancipazione, di lotta attiva per la libertà in tutto il Continente. Immaginava, in sostanza, degli “Stati Uniti” d’Africa in grado di ben prosperare una volta sconfitto il colonialismo.
Man mano che l’influenza europea si faceva meno forte, anche dal punto di vista estetico, gli architetti iniziarono ad adattare i canoni del Modernismo tropicale a stili più africani. Si cercava di combinare l’architettura tradizionale del luogo incorporandola nei progetti modernisti
Dopo gli ideali pan-Africani di Nkrumah, cosa rimane oggi dell’eredità del Modernismo tropicale in Ghana?
Abbiamo fortemente voluto che l’Architectural Association (AA) di Londra e la Kwame Nkrumah University of Science and Technology (KNUST) di Kumasi collaborassero con noi a questo progetto, perché negli anni ‘50 e ‘60 entrambi avevano iniziato un programma di scambio sull’architettura tropicale, per insegnare l’architettura tropicale in Ghana e per formare una nuova generazione di architetti locali seguendo i canoni del Modernismo tropicale. Ci sono perciò sembrati gli interlocutori ideali per tracciare l’evoluzione di questo movimento nel grande continente africano. L’opera di diffusione attuata da Maxwell Fry, Jane Drew e un gruppo di altri architetti modernisti, fra cui James Cubitt e Kenneth Scott, rappresentò solo la prima fase dell’influenza che il Modernismo tropicale ebbe nei paesi dell’Africa occidentale. Da lì in poi il nuovo stile architettonico si radicò e venne assorbito entusiasticamente nel lavoro progettuale soprattutto dopo l’avvento dei sistemi di aria condizionata, quando alcune delle tecniche che avevano svolto sino ad allora una funzione fondamentale nell’architettura tropicale, come il controllo delle correnti d’aria naturali o l’uso di strutture estese per minimizzare l’esposizione solare, non risultarono più necessarie.
Oggi molti degli edifici costruiti all’epoca versano in uno stato di abbandono e sembrano sul punto di essere demoliti. Tuttavia penso che lentamente si stia ritornando ad apprezzare l’eredità del Modernismo tropicale. Ci sono oggi dei tentativi apprezzabili di salvare alcune di queste strutture. Solo per citare alcuni esempi, si sta rinnovando la Fiera di Accra mantenendone il nucleo originario e il Museo Nazionale è appena stato ristrutturato facendolo tornato al suo antico splendore. Più diffusamente sono le case private e altri edifici più comuni ad essere demoliti o a versare in stato di abbandono: entrare in alcune aree di Accra è come visitare un vecchio archivio.
Oggi disponiamo di strumenti di costruzione molto più sofisticati, ma recuperando e integrando le nostre tecniche moderne con i principi dell’epoca possiamo arrivare a costruire edifici che si raffreddano passivamente, il che rappresenterebbe una soluzione di grande efficienza e progresso per l’Africa e per altre zone calde del pianeta.
Una delle domande alle quali il nostro progetto cerca di dare una risposta è: “Quali lezioni possiamo imparare da questo periodo della storia dell’architettura, specialmente ora che stiamo vivendo un’età di profondi cambiamenti climatici?”. Questi edifici sono stati progettati concordemente all’evoluzione della scienza delle costruzioni e della scienza ambientale. Oggi disponiamo di strumenti di costruzione molto più sofisticati, ma recuperando e integrando le nostre tecniche moderne con i principi dell’epoca possiamo arrivare a costruire edifici che si raffreddano passivamente, il che rappresenterebbe una soluzione di grande efficienza e progresso per l’Africa e per altre zone calde del pianeta. Penso che molti architetti di oggi in Africa si stiano ponendo gli stessi problemi: come usare materiali locali e sostenibili e come lavorare col clima in modo responsabile ed ecologico?. L’architettura che abbiamo analizzato aveva già dato risposte sofisticate a queste domande e penso che i principi adottati allora possano risultare molto utili anche oggi.
Come viene rappresentato il progetto all’interno del Padiglione delle Arti Applicate?
Il nostro lavoro di ricerca è stato tradotto in un film di 25 minuti che viene proiettato all’interno del Padiglione. Il video mostra le interviste ad alcuni protagonisti del Modernismo tropicale che abbiamo la fortuna di avere ancora fra di noi. È stato ad esempio molto interessante parlare con John Owusu-Addo, che oggi ha 95 anni e una memoria fantastica! Si tratta di documenti preziosi; sono storie che nessuno ha mai trascritto, quindi sono testimonianze molto importanti. Abbiamo intervistato anche Samia Nkrumah, politica e figlia del primo Presidente del Ghana, interrogandola su come visse e ricordasse il colpo di stato che esautorò suo padre. Abbiamo intervistato il professor Henry Wellington, che visitò la AA negli anni ’60, chiedendogli in particolare che cosa ricordasse di Londra e del suo viaggio in Gran Bretagna. Questo film restituisce in sostanza la fase di ricerca del percorso di costruzione progettuale della mostra.
L’installazione è costituita inoltre anche da un lungo frangisole di 35 metri il cui progetto è basato su un altro simile frangisole all’epoca disegnato da Fry e Drew. Congiuntamente, il film e la struttura murale, racconteranno la storia del Modernismo tropicale inserita nel quadro politico d’insieme del tempo. Nella mostra, che avrà luogo nel 2024 a Londra presso il V&A Museum, allargheremo inoltre la nostra indagine anche all’Asia meridionale.
Immagine in evidenza: Applied Arts Pavilion Special Project at Biennale Architettura 2023
Photo Andrea Avezzù – Courtesy: La Biennale di Venezia