Alle Gallerie dell’Accademia in scena un confronto tra Jacopo e Giovanni Bellini su opere di tematica sacra, alla scoperta dell’evoluzione di uno stile.
Nella quattrocentesca bottega veneziana che faceva capo a Jacopo Bellini (1400 ca-1471 ca) è credibile che avvenisse, per motivi pratici oltre che per seguire inclinazioni e attitudini individuali, una sorta di distribuzione degli incarichi tra i suoi due figli pittori. Se a Gentile (1429-1507) venivano affidate prevalentemente la ritrattistica e i dipinti narrativi di grande formato, al più giovane Giovanni (1430 ca–1516) spettava invece dedicarsi per lo più alle opere di tematica sacra, filone quest’ultimo che diverrà nel corso degli anni preponderante nella sua produzione artistica raggiungendo, come sappiamo, esiti originali e superbi. Anche se le innovative e monumentali composizioni, elaborate nel corso degli anni per gli altari delle chiese veneziane, diventeranno una fonte di riferimento imprescindibile per le future generazioni di artisti, saranno soprattutto le invenzioni per immagini di devozione privata, un genere più intimo, spirituale e contemplativo, a trovare in Giovanni uno dei più straordinari e singolari creatori e interpreti. In particolare, le sue “Madonne con il Bambino”, così innovative nello stile, anche se così tradizionali nel soggetto e nel significato, dalla straordinaria bellezza e dalle innumerevoli varianti, diverranno i soggetti replicati da una folta schiera di scolari, seguaci, emuli ed epigoni. La presenza di una Madonna in quasi ogni stanza delle case veneziane era divenuta, come rivela la lettura degli inventari coevi, una consuetudine fortemente osservata e voluta, e quindi l’offerta di questi prodotti pittorici sul mercato dell’arte veneziano era molto consistente. Dal sapore intimo, familiare e molto coinvolgente emotivamente, le Madonne belliniane si caricano di una valenza simbolica allusiva al destino del Salvatore. Il parapetto sul quale il Bambin Gesù viene adagiato anticipa sia il sepolcro che l’altare, evidenziando così metaforicamente la funzione salvifica ed eucaristica di Cristo.
La storia e l’evoluzione delle Madonne belliniane si può ben cogliere nelle ricche raccolte delle Gallerie dell’Accademia, ma in questo periodo abbiamo un motivo in più per visitarle, la presenza per qualche mese della Madonna Trivulzio (1560 circa), proveniente dal Castello Sforzesco di Milano, sicuramente tra i capolavori di Giovanni ancora legati all’incisività grafica di matrice padovana e mantegnesca, che verrà progressivamente abbandonata nella stagione seguente e più matura delle sue Madonne. Il confronto con la Madonna col Bambino benedicente e cherubini (1455 circa) del padre Jacopo, restaurata di recente facendone apprezzare la brillantezza degli azzurri, dei rossi e delle lumeggiature in oro, mostra palesemente come in un brevissimo arco di tempo sia così ampio lo scarto stilistico tra i due: oramai il figlio si è smarcato dal padre, abbandonando la matrice tardo gotica della sua formazione per lanciarsi verso quel Rinascimento emergente che vedrà in Giovanni uno dei suoi massimi esponenti. Le sue Madonne acquisteranno quel sapore di intimità e familiarità e quel coinvolgimento emotivo per chi le guarda. Movenze, sguardi e attitudini trasmetteranno una composta e umana dolcezza dell’amore materno e filiale attraverso quel “intenerimento atmosferico e cromatico” che sarà alla base della maturità del grande Giambellino.