Nel nome del padre

Marcel Duchamp e la seduzione della copia alla Collezione Guggenheim
di Maria Laura Bidorini

Alla Collezione Peggy Guggenheim l’imperdibile mostra Marcel Duchamp e la seduzione della copia, curata da Paul B. Franklin, tra i massimi esperti dell’artista, presenta sessanta opere eseguite nel corso di tutta la sua carriera tra il 1911 e il 1968.

Come possiamo definire il valore di un’opera d’arte? E la copia o rielaborazione può essere considerata essa stessa opera d’arte? La domanda si pone sin dalla prima definizione di opera d’arte o di copia, se già Platone parlava di riflesso e di ombre e di copie ingannevoli della realtà.
A dar valore artistico alla copia e alla riproducibilità, rivoluzionando e cambiando per sempre il concetto stesso di opera d’arte, è uno degli artisti e delle menti più geniali della nostra contemporaneità. Marcel Duchamp è non solo un artista geniale e radicale, è anche il “padre” più influente di gran parte dell’arte contemporanea, che senza il suo pensiero e il suo modo di agire non avrebbe nessuna ragione di essere. Andando contro la famosa visione di Walter Benjamin sulla perdita di valore della copia, Duchamp afferma, e mette in pratica, che tutto può essere copia e originale allo stesso tempo, se così l’artista lo vuole la sua firma su qualsiasi oggetto è quello che dà valore e trasforma l’oggetto, anche il più usuale e banale, in opera d’arte. Ora, per la prima volta, la Collezione Peggy Guggenheim gli dedica un’esposizione dal titolo Marcel Duchamp e la seduzione della copia. Curata da Paul B. Franklin, tra i massimi esperti dell’artista, la mostra presenta sessanta opere eseguite nel corso di tutta la sua carriera tra il 1911 e il 1968, con lavori famosi e iconici quali Nu descendant un escalier, Jeune homme triste dans un train, nonché le celeberrime Monna Lisa.

ph. Matteo De Fina © Association Marcel Duchamp, by SIAE 2023

Una gran parte delle opere esposte proviene dalla collezione privata di Attilio Codognato, recentemente scomparso, che ha iniziato ad acquistare le opere di Duchamp, tra cui stampe, collages, ready-made e fotografie, fin dagli anni ‘70. La copia, il doppio, l’altro da sé Duchamp lo crea e lo vive con l’invenzione straordinaria del suo alter ego femminile Rrose Sélavy, un travestimento che simboleggia lo specchio ambivalente di tutta la sua opera, in cui l’artista diventa il ready-made di sé stesso. Peggy Guggenheim conosce Duchamp a Parigi nel 1923, lui diventa amico e la fondamentale figura di riferimento quando le consiglia i lavori contemporanei che la mecenate poi acquista. È lui che la forma, la introduce all’arte contemporanea, la aiuta a scegliere le opere migliori che poi diverranno importanti all’interno della sua collezione. Questo rapporto così stretto e intenso viene rappresentato in modo affascinante in mostra con la iconica de ou par Marcel Duchamp ou Rrose Sélavy (Boîte- en- valise).
Si tratta di una valigetta in pelle con serratura Louis Vuitton in cui Duchamp riunisce, come in un museo in miniatura portatile, 69 opere tra le sue più celebri, i lavori di una vita. La realizzazione è un lavoro certosino di ricerca presso i collezionisti, di documenti, lettere, riproduzioni, insomma un viaggio affascinante a scala ridotta di copie, che si dipanano in un contenitore a scomparti e pannelli scorrevoli.


Ne realizza 24 copie (copie di copie, idea geniale!) e Peggy acquista la prima edizione deluxe. Solo l’assemblaggio di un esemplare richiede più di dieci giorni di lavoro meticoloso, oltre alla realizzazione delle miniature da disporre nella valigia. Ogni copia è caratterizzata da una creazione originale, posta nel coperchio della valigia, in quello per Peggy c’è il coloriage, ovvero il prototipo per la riproduzione della collotipia (la tecnica usata per le riproduzioni miniate). Qui si raggiunge il massimo del gioco ironico tra l’originale e la copia. Dopo aver ricevuto la sua boîte, Walter Arensberg scriverà a Duchamp in una lettera: «Lei ha inventato un nuovo tipo di autobiografia… realizzata come uno spettacolo di marionette. Lei è diventato il burattinaio del suo passato». Probabilmente le boîtes sono davvero una nostalgica operazione artistica, ironica, intelligente, dirompente di conservare la lunga storia artistica di uno degli artisti più significativi e influenti della nostra epoca.