A Palazzo Grassi, curata dalla stessa Marlene Dumas con Caroline Bourgeois, Open-end mette in mostra cento dipinti, anche ultime opere, in dialogo tra loro in sale in cui si passa dalla morte alla vita, dalla disperazione all’amore e al bacio, dall’innocenza alla colpa, dalla violenza alla tenerezza…
Non una retrospettiva ma una prospettiva: la vita e l’arte di Marlene Dumas (Città del Capo, Sudafrica, 1953) vengono raccontati in una cruda e al contempo partecipata rappresentazione del corpo umano. A Palazzo Grassi, curata dalla stessa Marlene Dumas con Caroline Bourgeois, cento dipinti, anche ultime opere realizzate, sono messi in dialogo tra loro in sale in cui si passa dalla morte alla vita, dalla disperazione all’amore e al bacio, dall’innocenza alla colpa, dalla violenza alla tenerezza… Tutto è giocato su una dualità resa anche dalla dimensione dei dipinti stessi, che alternano con ritmo prospettive diverse e sempre aperte, creando una poesia interna alla mostra, secondo la stessa definizione data dall’artista: «La poesia è una scrittura che respira e fa dei balzi, e che lascia spazi aperti per consentirci di leggere tra le righe».L’artista, non solo attraverso le sue opere, sembra essere presente, accanto a ogni dipinto, a sottolineare come il significato del quadro vada oltre l’immagine, sia legato all’altro accanto e a quello successivo, in un flusso vitale continuo, dove la fine (end) è comunque sempre un inizio (open – come recita il titolo dell’esposizione).«Ai miei occhi Marlene Dumas è un’artista attraversata dai nostri fantasmi, quali le tracce della storia, le tracce dei corpi, l’utilizzo dei corpi ancora e ancora, all’infinito. Il suo lavoro ci invita a essere più “veri”. Il suo modo “liquido” e fisico di dipingere, che fa apparire il soggetto senza che questo sia stato precedentemente disegnato ma solo attraverso le pennellate, rende le sue opere seducenti e misteriose, come altrettante apparizioni vitali». (Caroline Bourgeois)