Se non ci fosse Calcutta…

I generi musicali? Teneteveli pure
di Riccardo Triolo, Veronica Triolo

Inizialmente previsto per il 14 dicembre alla Kioene Arena di Padova, il concerto è stato rinviato al 20 dicembre alla Fiera di Padova.

«Se non esistessero i soldi, noi due dove saremmo?»: così recitano i primi versi di Coro, canzone che dà il via ad un album che ha suscitato emozioni ed opinioni tanto numerose quanto varie. Un album che porta un titolo (e un’immagine di copertina) ironico e beffardo quanto il suo autore: Relax. Calcutta, pseudonimo di Edoardo D’Erme, sparisce dalla scena il 22 settembre 2021 con un post su Instagram per poi riapparire sullo stesso social esattamente 20 mesi dopo, annunciando il titolo del suo nuovo disco e le date del nuovo tour, con una data in Veneto programmata per il 20 dicembre alla Fiera di Padova. Ma se non ci fosse Calcutta, noi cosa ascolteremmo? Resteremmo in balia di trapper machisti e pataccari, del gangsterismo da piani alti di Fedez, del poppettino facile facile dei Pinguini, dei producer più paraculo del momento, Takagi & Ketra, con cui lo stesso Calcutta aveva flirtato nel 2016 per Oroscopo. Forse un passo falso, forse un passo obbligato. Invece, Calcutta c’è. E il mainstream se lo mangia col talento. Perché il suo Relax, sì, ha tradito definitivamente l’indie italiano (che poi, cos’è?) ma ci ha consegnato un autore che fa piazza pulita di tutto e di tutti. Tanto da arrivare al cuore di giovanissimi, spodestando chi ha conquistato le vette seguendo la corrente. Lui, Calcutta, questa corrente – il mainstream appunto – l’ha appena reinventata. Ma veniamo al disco. Sembra contenere numerosi parallelismi relativi a canzoni scritte da lui in precedenza, ma rielaborate in chiave più malinconica e matura, a dispetto delle numerose e magistrali virate pop. Uno dei numerosi rimandi si trova nel singolo 2minuti, che in un verso dice: «Poi camminare così, ad occhi chiusi», come se l’artista confermasse di aver finalmente «reimparato a camminare», con riferimento alla nota hit del 2015 Cosa mi manchi a fare.

Edoardo oggi riesce a camminare con tanta facilità che non serve nemmeno tenga gli occhi aperti, come se quella sua profonda e dolorosa ferita dopo tanto tempo si fosse rimarginata completamente. Come se la sua identità, sempre messa in discussione in ogni verso che brilla di sensibilità e di fragilità, di ironia e di desiderio, d’amore, di critica sociale velata e dolente, si fosse finalmente definita. E non avesse più paura di se stessa. E questa è solo una delle tante autocitazioni che uniscono il nuovo disco ai precedenti, suggerendo una crescita personale del cantautore. Cosa è accaduto, in questi anni di ‘assenza’? Non avremo mai una risposta, perché intorno a Calcutta aleggia un certo mistero, espresso non solo da versi che sanno essere ermetici e beffardi, ma anche dal modo in cui Edoardo si presenta, da come si atteggia, da come si svela al mondo. Ed è questa sua enigmaticità che rende Calcutta un artista unico nel panorama italiano di oggi. D’accordo, ora è mainstream, come di se stesso aveva beffardamente dichiarato con l’omonimo – e bellissimo – album del 2015, conscio forse che il suo talento non poteva limitarsi alla sola etichetta di ‘artista indie’. Ma Edoardo, che appunto il mainstream lo ha reinventato, conserva quello spirito, quell’indole orgogliosamente indie con cui si era fatto notare nei primi anni Dieci e che oggi lo ha reso un nuovo classico della musica cantautorale italiana. Anche se poi, direbbe lui, «sembriamo tutti falliti».