Un mare di bianche lacrime

Da Haifa la potente opera del regista palestinese Bashar Murkus
di Chiara Sciascia

Il latte, immacolato simbolo di vita, speranza e sopravvivenza, diventa metafora di morte, violenza e perdita in Milk, potente opera di teatro-danza del regista palestinese Bashar Murkus, fondatore e direttore artistico del Khashabi Theatre di Haifa in Israele, che debutta in prima nazionale per la 51. Biennale Teatro.

Tragedia contemporanea che mette al centro la figura della donna e della madre, Milk si interroga sul tema del lutto e sul suo significato umano più profondo. «Immagino che perdere un figlio a Gaza o a Parigi non sia molto diverso in termini di dolore per una madre – scrive Murkus –, il mio obiettivo non era quantificare né fare paragoni. Quello che mi importava era capire come affrontiamo la perdita. In questi due anni di ricerca con il mio team, abbiamo affrontato il soggetto in molti modi diversi al fine di creare prospettive differenti. Così ci siamo trovati ad allargare il soggetto, a investirlo di significati più profondi, più generali. Oggi questo progetto ha più a che fare con l’idea di disastro, di catastrofe. Non si tratta di cause o categorie, e nemmeno di conseguenze, ma piuttosto del modo in cui questi eventi distruggono la nostra percezione del tempo, della vita. La dividono in due. Sono forze molto specifiche che dividono il tempo in un prima e un dopo che non possono mai essere riconciliati. Quello che guardo è lo spazio tra questo prima e questo dopo. Uno spazio che trasforma il tempo in qualcosa che non ha durata, non ha fine. Ho cercato di capire come e in che misura questo spostamento ci trasforma, ci scuote».

Milk, Bashar Murkus © Khulood Basel

La scenografia è essenziale. Il pavimento nero, ricoperto di spugne che assorbono la luce e smorzano i rumori. Entrano in scena corpi di carne e ossa, donne che stanno piangendo. Le loro lacrime bianche sono lacrime di latte, lo stesso latte che avrebbero dato ai figli se non li avessero perduti.
Poi altri corpi ancora, quelli dei manichini medici ammucchiati sul palco. La morte e la vita sono ovunque. Il disastro che colpisce i corpi delle donne è visibile, palpabile, spaventoso. Sono donne che, per sopravvivere, trasformano ciò che le circonda e le tocca in un paesaggio di incandescente bellezza. Possiedono l’arcaico potere di trasformare l’indicibile. Dal nero al bianco l’opera si trasforma in pura poesia visiva grazie ad un mare di latte che invade tutto, prendendo quasi vita. Milk non racconta una sola storia, ma una pluralità di storie che hanno in comune l’impossibilità di finire. Sono lotte perpetue, inferni sulla terra. Come avviene il disastro? Avviene in un istante, e non ha mai fine.

Bashar Murkus © Khulood Basel

Presentato ad Haifa nel 2016, poi al Festival di Avignone e applaudito in altri importanti festival europei, Milk è una delle oltre 20 produzioni del prolifico Bashar Murkus, regista militante che a soli 30 anni ha saputo catturare l’attenzione internazionale fornendo un intenso sguardo teatrale sulla cultura palestinese contemporanea attraverso le sue profonde visioni artistiche, politiche, sociali e umanistiche, con una formidabile capacità di dispiegare queste stesse visioni in un linguaggio poetico e universale tanto visivo e potente quanto sensuale.
Appartenente alla terza generazione di palestinesi che dal 1948 vive nel nuovo Stato di Israele, Murkus, condottiero ispiratore, rivendica il diritto di preservare la cultura e l’arte palestinesi nei territori occupati. Con la fondazione del Khashabi Theatre nel 2015 ha dato vita insieme ad altri artisti indipendenti ad uno spazio creativo libero, autogestito e autofinanziato, in cui tabù sociali, artistici e censure politiche possono essere sfidati e abbattuti.

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