Come una moto in mezzo al mare

Il "Bolide" di Elia Pangaro si aggiudica il Biennale College per performance esterne
di Loris Casadei
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Vincitore del bando internazionale 2024 che Biennale College dedica alle performance site-specific, pensate per esterni, il danzatore e performer Elia Pangaro si racconta in questa intervista.

Quello che ricerco al momento non sono purismi, ma piuttosto contaminazioni, non solo tra diverse tecniche di danza, ma anche tra diversi campi artistici

Elia Pangaro è il danzatore e performer vincitore del bando internazionale 2024 che Biennale College dedica alle performance site-specific, pensate per esterni, per luoghi di vita quotidiana della città. Nato a Perugia nel 1997, ha già riscosso numerosi riconoscimenti, non ultimo quello di miglior danzatore al Corpo Mobile Festival di Roma 2023. Il tutto dopo aver consumato un vasto apprendistato, in particolare con Afshin Varjavandi e la INC – InNprogressCollective, in un processo di continua ricerca nel «raccontare la contemporaneità… attraverso il linguaggio del corpo, mescolando danze urbane, hip hop e street dance». Oggi Elia Pangaro sta sviluppando progetti più sofisticati. In Bolide | Deus ex machina, ad esempio, la ricerca si concentra sul significato dell’accelerazione sociale come nuova forma di totalitarismo, sull’incessante aumento di consumo e di produzione nel nostro quotidiano, pur fortemente differenziato nei vari poli del mondo. Quali sono le condizioni che permettono all’individuo di entrare in risonanza con il mondo? A sfida si risponde con altra sfida: sarà interessante allora capire se gli spettatori vivranno Bolide, per riprendere Walter Benjamin, come Erlebnis o Erfahrung, ovvero un’esperienza presto dimenticata o un’esperienza che lascerà un segno e indurrà alla riflessione. Nella performance si avvarrà della affascinante e brava Polina Sonis, artista originaria di Samara e poi di stanza a San Pietroburgo, anche se ormai in perpetuo movimento, da Tel Aviv a Berlino, dai laghi norvegesi a Venezia.

La sua performance è avvolta nel mistero. Il titolo Bolide sembra alludere ai corpi celesti con annessa luminosità e rumori, dal greco “proiettile”, ma all’uomo comune ricorda le auto sportive. Iniziamo da qui: perché questo titolo? Se vi è una rappresentazione, cosa ci racconta?
Sapevo sarebbe stata una performance sull’accelerazione e sulla velocità fin da subito, perché questo era il punto di partenza di questo mio lavoro. Insieme con le prime idee mi è subito venuto in mente il titolo Bolide, che avrebbe rimandato all’estetica “veloce” della performance. Si è poi accostato a completarlo il termine deus ex machina, come se il processo di accelerazione culturale fosse un deus che ci impone delle scelte, anche indirettamente. Il Bolide è il personaggio nella performance che rimane fermo, in potenza di accelerazione, passivo al cospetto dei bolidi che sfrecciano intorno e ai “detriti” lasciati da essi: una moto da corsa in mezzo al mare, inutile.

L’urban dance ha ricevuto la propria incoronazione al Maggio Musicale Fiorentino con la straordinaria opera Lo Specchio Magico di Fabio Vacchi del 2016, ormai un classico. Lei si riconosce ancora in questa corrente artistica? Sarebbe in grado di definire meglio il cuore di questa danza?
Le tecniche urbane hanno sicuramente formato radicalmente il mio modo di muovermi e di pensare il movimento; è stato il mio primo approccio alla danza. Nonostante le mie radici tecniche siano fondate su house, popping, tutting, breaking etc., ed oltre al mio vocabolario gestuale anche le mie scelte drammaturgiche siano influenzate da ciò, non mi riconosco pienamente nella corrente delle danze urbane. In ogni caso tutte le tecniche urbane hanno al loro interno un rigore, una disciplina non distanti neppure da quelle della danza classica. È stato proprio questo elemento che per anni mi ha tenuto incollato al loro studio, ricercando costantemente di migliorare virtuosismi e tecnicismi in ogni minuto dettaglio. Poi quello che ricerco al momento non sono purismi, ma piuttosto contaminazioni, non solo tra diverse tecniche di danza, ma anche tra diversi campi artistici. Una sorta di vitale interdisciplinarità.

In un’intervista ad un quotidiano della sua città lei sembra invitare ad una riflessione sulla realtà che ci circonda con una sorta di avvertimento su possibili difficoltà di comunicazione e comprensione del reale. In questo suo percorso hanno giocato di più i testi di suo padre Giorgio Pangaro sulle rivolte in Blade Runner o l’esperienza sulla morte in collaborazione con lo psichiatra Maurizio Venezi? O meglio, rivolgendo la domanda in campo più aperto, quali sono state le esperienze più significative per la maturazione del suo percorso umano, esistenziale?
Seppur io non abbia mai letto nulla di quello che ha scritto mio padre, la sua influenza nell’idea di questa performance è per me chiara. Una influenza che viene dall’educazione ricevuta da entrambi i miei genitori, che ci hanno tenuto (me e mio fratello) lontani da un certo tipo di informazione e intrattenimento, segnatamente dagli schermi dei telefoni e della televisione. Cosa che in seguito ha determinato per contrappunto in me una sorta di super-esposizione, che è poi uno dei temi principali in Bolide. Non sono queste le cose sulle quali ho riflettuto nel momento in cui ho pensato alla performance, ma hanno sicuramente influito indirettamente sulla mia prospettiva a riguardo. La volontà di creare questa performance è nata dopo diverse conversazioni con amiche e amici impegnati in altri progetti, dopo le quali ho incominciato a leggere alcune cose, tra cui le teorie di Hartmut Rosa sull’accelerazione sociale, uno dei fondamentali punti di partenza della mia ricerca per Bolide. Poi il panorama si è ampliato ad altri campi ancora e ho preso spunti sia da correnti artistiche contemporanee che da trend mainstream, fino a che sono riuscito a convogliare tutta questa teoria di esperienze in questa performance progettata e realizzata insieme alla danzatrice Polina Sonis. Lo step successivo, a completare il tutto, è stato il lavoro svolto con i sound designer (Robert Lagerman e Federico Tansella) per costruire la colonna sonora, che sarà un elemento fondamentale della performance stessa. Per tornare dunque al nucleo della domanda, le esperienze che mi hanno fatto maturare sono state innumerevoli e non le potrei menzionare tutte, ma di fondamentale importanza sono stati gli incontri e gli scambi con la moltitudine di persone che ho avuto la fortuna di incontrare e con alcune di lavorare.

In qualità di coreografo e performer quale il suo sogno progettuale dopo Venezia?
Mi trovo in un momento della mia carriera in cui ho un grande desiderio sia di lavorare come performer per altr* coreograf* e regist* sia di creare miei lavori. Finora, fortunatamente, sto riuscendo a conciliare le due cose. In ogni caso ho già diversi progetti in preparazione con Darlingbuds, il collettivo con cui collaboro: video, installazioni, performance…

Immagine in evidenza: Elia Pangaro

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