Sguardo essenziale

Con Lucia Ronchetti dentro la Biennale Musica 2024
di F.D.S.
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Un Festival dal programma corposo come non mai: in sedici giorni di concerti ed eventi teorici dal 26 settembre all’11 ottobre, Absolute Music mette in evidenza il significato della musica come linguaggio autonomo e lo statuto ontologico del suono.

Il mandato quadriennale di Lucia Ronchetti iniziato nel 2021 arriva a compimento con un Festival che mostra lo stato dell’arte di questa disciplina alchemica e coinvolgente, entrando nel laboratorio dei compositori e degli interpreti più rigorosi e inventivi che elaborano partiture, programmi, codici e performance, senza alcun riferimento extra-musicale e senza riferimenti visivi. Il Festival, articolato in dieci diverse sezioni, ne presenta una teorica a sua volta organizzata in conferenze, incontri, tavole rotonde e lezioni di musica in collaborazione con L’Archivio Storico delle Arti Contemporanee della Biennale, per indagare gli aspetti speculativi del linguaggio musicale, il rapporto tra tempo musicale e fenomenologia dell’ascolto, le questioni cognitive ed ermeneutiche della produzione e della fruizione di nuova musica, e il problema filosofico fondamentale del significato della musica e della sua essenza linguistica e comunicativa. Alla tradizione di matrice europea della musica contemporanea scritta, fondata sullo sviluppo della musica come disciplina autonoma, si aggiunge l’immenso repertorio dell’elettronica e quello generato dalle prassi improvvisative testimoniate da tecniche di registrazione sempre più sofisticate. Nell’ambito di Absolute Music saranno presentati importanti protagonisti della scena globale elettronica e digitale attuale, oltre a performer e improvvisatori attivi nell’ambito del jazz sperimentale, mettendo in evidenza i processi e trattamenti digitali che permeano ogni aspetto della creazione, produzione, performance, distribuzione e ricezione musicale oggi. Dopo le tre edizioni precedenti, che a ben vedere erano tutte e tre articolazioni della musica non assoluta (2021 il testo e la parola; 2022 il teatro; 2023 la tecnologia digitale), l’ultima edizione del ciclo di Lucia Ronchetti sposta il focus su questa distinzione nell’estrema consapevolezza che la categoria della “musica assoluta” ci possa aiutare a costruire traiettorie nuove, inusitate, mai sperimentate prima. Traiettorie che mettono insieme Luca Francesconi, Unsuk Chin e Beat Furrer come vessilliferi di un nuovo sinfonismo, che coinvolgono certe aree del jazz di ricerca come legittime incursioni nelle praterie sconfinate della musica contemporanea, che accendono uno spot sulla persistenza, oggi, del contrappunto, che individuano eccezioni (stanno tutte nel Baltico…) al vecchio teorema che, quando c’è la voce, siamo al di fuori della musica assoluta. Insomma, le dieci sezioni di Biennale Musica quest’anno sono un divertissement e, nello stesso tempo, un tentativo giocoso (e cosa c’è di più serio del gioco?) per fare accorpamenti, connessioni, analogie. Per lavorare sulle eccezioni, per costruire percorsi comuni, per mettere insieme capolavori ed opere prime che potrebbero diventarlo oppure no, per accendere fiaccole che magari non aspirano all’eternità, ma che ci possono illuminare il percorso per un tratto…

Il concetto di ‘musica assoluta’, tema portante di questa edizione di Biennale Musica, è centrale nel passaggio dal Settecento all’Ottocento. Con l’Ottocento e con il passaggio ad una musica per la prima volta assoluta, sciolta cioè da ogni riferimento extra-musicale, essa diviene l’elemento centrale dell’affermazione di una autocoscienza collettiva, di una cultura nazionale ed europea. Perché ha posto questo tema fondamentale al centro della sua progettazione di Biennale Musica 2024?
Nell’ambito dei quattro temi scelti per le quattro edizioni della Biennale Musica sotto la mia direzione artistica ho voluto presentare la scena della creatività musicale attuale da diversi punti di vista e con la massima apertura tecnica e stilistica, sempre in riferimento alla storia della musica e alle istituzioni musicali veneziane, per creare un contatto profondo tra il festival e la città, al fine di coinvolgere al meglio il pubblico interessato alla musica. La scuola veneziana del 1500, attraverso i due importanti teorici Zarlino e Vicentino e importanti organisti compositori attivi a San Marco come Andrea Gabrieli e Claudio Merulo, ha creato le basi compositive e performative dell’autonomia espressiva della musica strumentale, una musica scevra da rimandi testuali che si presenta come una generazione di forme sonore astratte proiettate nello spazio acustico. È grazie a questo grande laboratorio di ricerca compositiva che a Venezia nei secoli seguenti si è arrivati ai celebrati capolavori di musica strumentale, speculativa e virtuosistica ed autonoma da testi e intenzioni programmatiche, come la raccolta di concerti di Vivaldi L’Estro Armonico pubblicata nel 1711 e programmata nell’ambito del festival. Il termine “Musica Assoluta” è stato creato da Richard Wagner nel 1846 per indicarne l’impossibilità, il miraggio, e nel tempo è diventata una meta per molti compositori, alcuni dei quali sono tra i più importanti compositori viventi. In questo senso, il festival raccoglie varie tendenze di elaborazione musicale pura attuale da parte di musicisti e compositori in ambiti di musica contemporanea scritta, elettronica, jazz, dj e ricerca compositiva basata sull’IA, illuminando quella parte della produzione musicale attuale che non risente dell’ibridazione delle arti e dei sistemi espressivi, ma mira ad utilizzare un linguaggio non verbalizzabile come quello dei suoni in modo comunicativo, emozionante e trascinante.

Ho voluto presentare la scena della creatività musicale attuale da diversi punti di vista e con la massima apertura tecnica e stilistica

Dai cori dell’edizione 2021 al teatro musicale del 2022, dalla musica digitale dell’anno scorso alla celebrazione oggi della musica assoluta, costruendo un programma che mette insieme composizioni di giovani autori con alcuni grandi titoli ed autori che hanno fatto la storia della musica del Secondo Novecento (tra gli altri Grisey, Benjamin, Rihm). A vederle in filigrana queste edizioni, la sensazione è che rispondano ad uno schema generale, esistente fin dall’inizio, fatto di connessioni, rimandi, assonanze. È così?
I quattro temi dei quattro festival sono complementari perché tendono ad evidenziare aspetti diversi della grande scena compositiva attuale, disegnando nell’insieme una mappa possibile della creatività legata al suono di questi ultimi anni e del presente. Ho volutamente evitato di programmare i grandi lavori dell’avanguardia storica musicale perché ritengo che siano conosciuti, concentrando lo sforzo finanziario e produttivo su ambiti creativi recenti che necessitano di grande attenzione. Il panorama che viene delineato è multi-stilistico, multi-tecnologico e tendenzialmente mondiale, anche se il tutto è limitato dalla mia visione personale e dalla mia mancanza di conoscenza radicale in alcuni ambiti e luoghi. Per questo è importante che un altro direttore artistico continui questa esplorazione, dato che la diversità crea conoscenza e cultura.

Senza fare torto a nessuno, ci può svelare quali sono stati i momenti musicali che, nelle edizioni precedenti, l’hanno particolarmente emozionata e perché?

Da ascoltatore ho imparato ad apprezzare la poesia compositiva straordinaria che può generare la musica elettronica nelle mani dei compositori e programmatori raffinati dell’ultima generazione, come l’installazione sonora Weather Gardens del giovane artista inglese Louis Braddock Clarke e A Conversation Between A Partially Educated Parrot And A Machine, un raffinatissimo lavoro di elettronica performativa della giovanissima compositrice canadese Estelle Schorpp. Mi hanno sorpreso ed emozionato i lavori performativi e installativi di due compositori e programmatori illuminati come Marcus Schmickler e Paul Hauptmeier, ma anche la Sacra rappresentazione di Elena Tulve eseguita a San Marco dalla Cappella Marciana diretta da Marco Gemmani e il fantastico concerto che hanno realizzato nel 2021 con i Liturgical Chants di Valentin Silvestrov.

Biennale College Musica – Courtesy La Biennale di Venezia, ph. Andrea Avezzù

Da Biennale Musica emerge un’idea che sembra contrastare coi soliti pregiudizi sulla musica contemporanea e le geremiadi di un distacco irriducibile tra musica e pubblico: la sensazione di una grande vitalità, di una grande vivacità, di un entusiasmo creativo che attraversa le nuove generazioni e forse anche di un sistema culturale produttivo che è in grado di garantire ai suoi professionisti almeno un livello decente di sostentamento. È davvero così secondo lei, oppure è una sensazione alterata dal fascino della manifestazione?
La Biennale Musica di Venezia è una grande istituzione che da sola rappresenta un sistema culturale produttivo capace di creare ottime condizioni di lavoro per musicisti e compositori di ogni tendenza; sono convinta sia in tutto e per tutto un esempio da seguire. In questo senso abbiamo potuto vedere musicisti, compositori e programmatori felici e illuminati dalle possibilità offerte, dai luoghi fantastici di cui dispone la città e dalla complicità creativa del team che ha seguito con la medesima dedizione giovani artisti della Biennale Musica College e artisti riconosciuti venuti a vivere nuove dimensioni sonore rispetto alla loro storia creativa come Brian Eno, Christina Kubisch, Elena Tulve, Francesca Verunelli, John Zorn, David Lang. Quest’anno speriamo quindi di offrire esperienze musicali memorabili a Luca Francesconi, Salvatore Sciarrino, ai giovanissimi emergenti Hristina Susak e Miles Walter, per citarne solo alcuni. Se gli artisti sono soddisfatti e felici delle possibilità che possono avere ecco che pubblico e critica entrano in sintonia con loro, in profonda empatia con questa emozione del fare musica inaudita e bellissima.

La Biennale Musica di Venezia rappresenta un sistema culturale produttivo capace di creare ottime condizioni di lavoro per musicisti e compositori di ogni tendenza, in tutto e per tutto un esempio da seguire

Siamo un po’ curiosi di conoscere il suo pensiero su Biennale Musica come dispositivo complesso dal punto di vista dell’organizzazione, della produzione, della gestione. Scouting, progettazione, contatti e relazioni con compositori, esecutori, agenzie; criteri di assegnazione di nuove commissioni, gestione del budget, comunicazione, logistica, ticketing… Indubbiamente Biennale Musica non si può improvvisare, ma anzi richiede uno staff oliato e molto focalizzato sugli obiettivi. Ci può raccontare la sua esperienza sotto questo fondamentale profilo?
È stata la mia prima importante esperienza di direzione artistica, dopo quella del Festival Animato creato con la curatrice Mary Angela Schroth della Sala 1 a Roma. Molti percorsi di questo lavoro articolato da lei elencati nella domanda sono curati dalle persone preposte dalla Biennale di Venezia a sviluppare gli stessi sotto l’egida del Direttore Generale e la guida del Presidente della Biennale, che ha sempre reagito positivamente alle mie ambizioni organizzative. A livello di ideazione artistica ho dovuto studiare molto, per ogni tema ho puntato soprattutto sulla mia capacità di analisi dei testi scritti e delle ricerche internazionali pubblicate negli ultimi 10 anni, aiutata da vari servizi bibliotecari, come quello del Wissenschaftskolleg di Berlino, dove ero in residenza, e quello straordinario dell’Archivio Storico delle Arti Contemporanee della Biennale. Devo a riguardo ringraziare amici curatori, musicologi e critici che mi hanno aiutato nella ricerca, fornendomi libri e articoli. Sono convinta che un direttore artistico debba essere sempre “sul campo” e attivo da tanti anni, non solo attento a studiare e ascoltare registrazioni. Naturalmente ho fatto tanti errori, ma sento di aver dato sempre il massimo e di aver imparato moltissimo.

Vorremmo conoscere il suo personale bilancio su Biennale College Musica. È un investimento con dei ritorni positivi?
Assolutamente sì, senza alcun dubbio. Anche quest’anno è stato emozionante ricevere 408 candidature da 52 Paesi da parte di compositori e musicisti under 30, con tantissimi dossier importanti, progetti impressionanti che denotano talento e intelligenza, preparazione e capacità propositive. È stato difficilissimo selezionare tante erano le proposte imperdibili; i dieci prescelti stanno realizzando dei lavori straordinari sotto la guida di un gruppo di tutor d’eccezione che non smetto mai di ammirare: i due importanti compositori Luca Francesconi e David Lang, la violoncellista Eva Boecker e la violista Megumi Kasakawa, soliste dell’Ensemble Modern di Francoforte, Brian Archinal, percussionista americano membro dell’ensemble di percussioni Ensemble This|Ensemble That (ET|ET), Federico Tramontana, giovane ed emergente percussionista italiano, Bertrand Chamayou, pianista francese di grande fama, Hervé Boutry, organizzatore e drammaturgo francese, e Thierry Coduys, compositore e sound engineer francese responsabile degli studi del CIMM.

Non la vorremmo lasciare senza prima averle chiesto quali saranno i suoi impegni professionali una volta lasciato il suo incarico in Biennale. Accompagniamo questa domanda con i nostri migliori auguri e con la gratitudine per aver vissuto da accaniti suiveurs molti momenti indimenticabili nelle edizioni da lei dirette.
Tornerò a dedicarmi a tempo pieno alla composizione, con due grandi opere commissionatemi da due grandi istituzioni europee che mi terranno occupata almeno quattro anni e continuerò ad insegnare composizione al Conservatorio di Salerno, grazie al quale sento di avere una posizione e un ruolo sociale attivo e gratificante.

Foto in evidenza: Courtesy La Biennale di Venezia, ph. Andrea Avezzù

 

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