Atto collettivo

Intervista a Filippo Dini, neodirettore artistico del Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale
di Mariachiara Marzari, Chiara Sciascia
trasparente960

Regista pluripremiato e attore poliedrico, nella sua visione il palcoscenico rappresenta il luogo dove si genera bellezza capace di trasformare l’ordinario in straordinario.

Il teatro si rivolge al nostro “Io” bambino: la messa in scena, la finzione, sono modi per rappresentare i nostri sogni, i nostri incubi e le nostre speranze

La guida dei poeti, la centralità degli attori e l’idea di un lavoro collettivo sono i punti cardine della visione artistica di Filippo Dini, neodirettore artistico del Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale, chiamato a firmare un progetto per il prossimo triennio che prende il via con la Stagione 2024-25. Dini è uno dei nomi emergenti del palcoscenico italiano, regista pluripremiato per la sua ingegnosa creatività, attore poliedrico che è maturato nella storica Scuola dello Stabile di Genova. Il palcoscenico, nella sua visione, rappresenta il luogo dove si genera bellezza capace di trasformare l’ordinario in straordinario. Di svelare, attraverso un gioco di strappi, un mondo meraviglioso, di suscitare stupore e curiosità, come un “colpo di scena”, titolo scelto per la stessa stagione. Teatro Goldoni di Venezia, Teatro Del Monaco di Treviso e Teatro Verdi di Padova, tre  realtà molto diverse ma che nella visione di Dini concorrono tutte ugualmente per la crescita di una squadra unita e determinata. In cartellone oltre 80 spettacoli, di cui 38 titoli in abbonamento (13 in programma a Venezia, 13 a Padova e 12 a Treviso), numerosi progetti per il territorio, 4 proposte dedicate alle scuole superiori e 15 titoli di produzioni e co-produzioni per oltre 350 giornate di spettacolo dal vivo. A poche ore dal debutto della stagione, con Il Milione di Marco Paolini, abbiamo incontrato il nuovo direttore per farci accompagnare nel cuore di una programmazione sfaccettata sia in termini di contenuti, che di potenziali, diversi pubblici a cui intende rivolgersi.

I parenti terribili, regia di Filippo Dini © Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale – Photo Serena Pea

Quali gli ingredienti fondamentali per costruire una stagione di successo?
Innanzitutto va detto che questa è la mia prima stagione da direttore e ne vado particolarmente orgoglioso, come lo sarò sicuramente anche delle successive. Gli ingredienti fondamentali per costruire una stagione sono molteplici. Innanzitutto la drammaturgia: parto sempre dalla scelta degli autori. Sono convinto, infatti, che le parole dei grandi autori abbiano il potere della rinascita e possano esserci d’aiuto quotidianamente, come una specie di fede o religione, migliorando la cultura e la percezione della sua essenza. In secondo luogo i grandi interpreti: essendo un attore, credo nel valore dell’interprete, dell’attore italiano come punto di riferimento del teatro di prosa, in quanto la nostra tradizione, la nostra storia, il nostro passato rappresentano un’eccellenza assoluta nell’arte drammatica. Altro ingrediente fondamentale lo sguardo al territorio: il Veneto è ricchissimo di talenti emergenti e non, una terra di grande ispirazione per moltissimi progetti. Ci sono artisti veneti che sono delle vere eccellenze a livello nazionale. Infine la nuova drammaturgia, un elemento cui tengo molto. In Italia e anche in Veneto non è semplicissimo riuscire a conciliare la novità con un grande successo, con la sala piena. Si dice che il pubblico sia molto diffidente verso la nuova drammaturgia e perciò, sebbene io creda che questo sia vero solo a metà, si incontra sempre un po’ di difficoltà nel proporre nuovi testi e nuovi autori. Tuttavia non solo abbiamo estremamente bisogno di nuove voci e nuovi punti di vista, ma come Teatro Nazionale abbiamo il dovere culturale e intellettuale di proporre e promuovere la nuova drammaturgia. Tutto ciò detto e premesso, mi riservo anche una quota di libertà, lasciandomi influenzare dalla vitalità delle proposte che ricevo, dalla moltitudine di progetti che vengono presentati con grande entusiasmo, laddove colga una necessità, un’autentica e intrigante urgenza espressiva da parte di chi li propone. Facendo il regista da tanti anni so bene cosa significa promuoversi e ‘vendere’ i propri sogni, per cui quando intravedo questa necessità da parte di un artista mi parrebbe un delitto non assecondarla.

Come si inserisce un Teatro Nazionale così radicato nel proprio territorio regionale nel panorama italiano, per molti in crisi?
“Il teatro è in crisi” è una frase che sento dire da quando sono nato. L’ho sentita dire e l’ho vista scritta anche nei secoli precedenti. Sembra che il teatro sia sempre in crisi. Ovviamente il teatro ha subito delle mutazioni, alcune radicali: una volta si facevano molte più giornate di spettacolo, le tournée erano più lunghe, ma poi sono cambiate le leggi e molte altre cose ancora. Ciò che non è cambiata è la sua unicità rispetto al cinema o ad altre forme d’arte, forse con l’unica eccezione della lirica. Il teatro è un’arte che si fruisce esclusivamente dal vivo. È un atto collettivo, non solo per chi lo realizza sul palco, ma anche per chi lo vive in platea. Non può essere solitario o individualista e nei rarissimi casi in cui lo diventa fallisce. Il teatro si può apprezzare singolarmente in maniera intima e autonoma, nel silenzio e nel buio di una sala, ma sempre insieme ad altre persone. Questo aspetto lo rende estremamente particolare e unico: non può essere vissuto in altro modo. In questo senso credo che il teatro sarà sempre più o meno in crisi, tuttavia sarà anche sempre destinato ad essere un’arte fortunata. Le persone ne hanno una necessità intrinseca, perché tocca corde profonde dell’animo umano; è un qualcosa di arcaico, ma anche di profondamente infantile. Il teatro si rivolge al nostro “Io” bambino: la messa in scena, la finzione, sono modi per rappresentare i nostri sogni, i nostri incubi e le nostre speranze. La cosiddetta “crisi del teatro”, secondo me, non è altro che una ormai canonica forma di espressione attraverso la quale noi teatranti ci lamentiamo. Perciò non ritengo che corrisponda davvero a un dato reale. Anzi, dopo il Covid il teatro è stato il genere di spettacolo che si è ripreso più velocemente, perché le persone avevano bisogno di tornarvici: è proprio nei momenti di difficoltà che abbiamo bisogno dell’arte e quindi del teatro. Un esempio eloquente a riguardo è lo spettacolo che sto provando ora, I parenti terribili, che fu messo in scena per la prima volta nel 1945 al Teatro Eliseo di Roma. In quel momento la Capitale era sotto coprifuoco. Possiamo solo immaginare le difficoltà di lavorare in quelle condizioni, quando a una certa ora tutti dovevano correre a casa. Roma era stata liberata, ma non c’era ancora l’elettricità. Fuori dal Teatro Eliseo un trattore alimentava i riflettori per illuminare il palcoscenico. La regia era di Luchino Visconti e il testo, scritto pochi anni prima da Jean Cocteau, era una novità assoluta, quello che oggi chiameremmo “drammaturgia contemporanea”. Eppure, proprio in quel momento, la gente sentiva il bisogno di andare a teatro, di perdersi, sognare e immaginare.

Marco Paolini, Il Milione © Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale

Quali sono le linee programmatiche che ha iniziato ad elaborare e che vorrebbe sviluppare nel corso del suo triennio di lavoro e ricerca?
Prima ho dimenticato di menzionare un altro ingrediente fondamentale che ritengo necessario nella costruzione di una stagione, ovvero il dialogo, lo scambio. Ogni anno proporremo i nostri contenuti seguendo filoni, correnti e temi diversi. Uno di questi sarà certamente il focus su un autore vivente. Nel 2025 protagonista sarà Peter Handke, Premio Nobel per la Letteratura nel 2019, grandissimo intellettuale, uomo di lettere e di teatro, autore di testi straordinari, personaggio molto scomodo politicamente per alcune sue scelte e dichiarazioni. Anche nel 2026 e nel 2027 l’attenzione verso un autore contemporaneo sarà una costante, ma al momento non posso svelare ancora nulla a riguardo. Un altro filone che svilupperemo sarà quello rappresentato dallo scambio internazionale con teatri di altri Paesi, proponendo delle vere e proprie co-produzioni. Questa iniziativa mi riempie di gioia: è un dovere per un Teatro Nazionale mostrare anche prospettive sovranazionali, ma soprattutto è anche un piacere, perché tutte le realtà con cui sono entrato in contatto in questi mesi per preparare il triennio hanno sempre accolto le nostre proposte con grande entusiasmo. Che si tratti di un teatro francese, spagnolo o di Dublino, ogni incontro è stato felice, come se aspettassero soltanto una chiamata dal Teatro Stabile del Veneto. Nel 2025 il primo scambio produttivo sarà con il Teatro di Rijeka (Fiume), una co-produzione con la regia di Giorgio Sangati su testo di Carlo Goldoni. Insomma, spazio libero e aperto a grandi incontri, grandi scambi, a volte complessi da gestire, ma sempre animati da una forte volontà di dialogo e di collaborazione.

E poi c’è il territorio, il Veneto appunto. Quale percorso di conoscenza ha intrapreso in questa direzione?
Il Veneto è una grande regione. Sto cercando di conoscerla con tutte le mie forze e la mia passione; fa parte del mio mandato conoscere il pubblico e il territorio con il quale si ha un rapporto così diretto. È una terra bellissima, estremamente complessa e ricca, abitata da un popolo fiero e orgoglioso, connotato da una decisa disposizione a migliorarsi. Tuttavia ho anche percepito un forte desiderio di autoaffermazione. So che queste parole possono sembrare superficiali o generalizzanti, ma sono solo impressioni a caldo, dopo qualche mese passato qui. Vi è una forte e sacrosanta necessità di preservare orgogliosamente ciò che è unico e speciale, anche se questo talvolta può rappresentare un ostacolo, perché rende più difficile il confronto con altre realtà, anche quelle più vicine. Mi auguro invece che proprio l’orgoglio e la bellezza di Venezia, Treviso e Padova possano essere motore per uno scambio reciproco costante. Sono tre città straordinarie, ognuna con le proprie caratteristiche. Per ciascuna è stato necessario ideare un cartellone differente che tenesse conto delle rispettive specificità, ma che allo stesso tempo presentasse delle affinità. Il nostro scopo è infatti quello di essere e di presentarci come una realtà compatta, una squadra con un obiettivo comune: siamo il Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale. L’intera struttura, dal CdA con il presidente Beltotto, il direttore generale Claudia Marcolin e tutto lo staff del TSV hanno lavorato duramente assieme ai miei predecessori per ottenere questa qualifica, per cui oggi non possiamo che vivere con legittimo orgoglio e altrettanta serietà il fatto di essere uno dei sette Teatri Nazionali in Italia.

Re Chicchinella, regia di Emma Dante © Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale – Photo Masiar Pasquali

La cosa molto interessante del suo approccio, che ci appare assai diverso da quello dei suoi predecessori, è l’apertura all’esterno, al panorama nazionale e internazionale. Sono molto interessanti sia i focus sugli autori che le collaborazioni a livello europeo, il che potrebbe rappresentare una carta vincente per uscire dalla “venetudine”…
Non voglio essere frainteso: tengo moltissimo alla “venetudine”, ma non dobbiamo assolutamente fermarci lì. Le radici vanno rispettate e valorizzate, tuttavia, proprio grazie alla forza di queste radici, dobbiamo aprirci all’esterno. Prendiamo ad esempio quanto successo quest’estate con lo spettacolo Titizé della compagnia Finzi Pasca: abbiamo avuto ben 14.000 spettatori! Non è un mio merito personale, non me ne prendo il vanto, dato che è un progetto che ho ereditato felicemente. È stata una vittoria assoluta, considerando che non c’era tradizione di una permanenza estiva così lunga al Teatro Goldoni. Una scommessa completamente vinta. Uno spettacolo che parla di Venezia, ma da una prospettiva diversa, nato dall’innamoramento del regista per la città, un autore svizzero con una visione raffinata dal punto di vista formale e una fantasia misteriosa, capaci nel loro insieme di restituire un profilo magico della città andando ben oltre le solite immagini da cartolina. È stata un’esperienza straordinaria che dimostra come sia possibile creare progetti che si riferiscono anche solo a un segmento specifico del territorio mantenendo però una visione aperta e internazionale.

A Venezia c’è un’altra istituzione importantissima che si occupa di teatro, La Biennale. Ha già considerato nel suo percorso futuro di costruire una collaborazione?
Non vedo l’ora di incontrare il direttore artistico della Biennale Teatro, di cui sono un grande fan. Sono stato felicissimo della sua nomina, un’ottima scelta che considero il classico “colpo di genio”. Willem Dafoe è prima di tutto un uomo di teatro, anche se è conosciuto meno in questo ruolo. La nomina da parte di Pietrangelo Buttafuoco è stata una lezione importante, un esempio contro le ricorrenti pratiche poco trasparenti nelle nomine italiane. Non nel mio caso però; ci tengo infatti a sottolineare che sono stato votato dal CDA, che ho dovuto sostenere due audizioni per diventare direttore e che quindi non ho avuto supporto alcuno dai cosiddetti “santi in Paradiso”, che non ho, anche se una volta qualcuno ha insinuato che io vincessi premi solo perché sono il figlio di Lamberto Dini… In realtà mio papà era un maestro elementare, non ha mai fatto né il Ministro, né il Presidente del Consiglio. Per quanto riguarda La Biennale, c’è già stato un primo contatto e sicuramente desidero collaborare con questa straordinaria istituzione del contemporaneo, ma in realtà voglio collaborare con tutti! Con Arteven abbiamo già avviato un dialogo e con il Teatro Olimpico di Vicenza stiamo concordando uno spettacolo da realizzare insieme ogni anno. Stiamo lavorando anche con l’Estate Veronese e con altri teatri veneti. Non è questo solo un impegno legato all’obbligo di sviluppare ed articolare il più possibile le attività del Teatro Stabile del Veneto, ma una più vissuta ed ampia disposizione espressione di un autentico desiderio di dialogo e scambio non solo con le varie città del territorio, ma anche con i soggetti più vitali con cui fatalmente ci incrociamo nel nostro lavoro, in primis naturalmente con istituzioni del livello della Biennale. Sono convinto che quando ci si siede a tavolino per immaginare qualcosa insieme il risultato che ne esce alla fine è sempre migliore. Questo è il mio lavoro insomma: faccio l’attore e il regista e sono abituato a dialogare.

Andrea Pennacchi, Arlecchino? © Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale

Al Teatro Verdi di Padova la stagione debutta con lei protagonista della scena come attore e regista ne I Parenti Terribili. Cosa significa per lei letteralmente calcare la scena, esserne parte attiva oltre che dirigerla?
Faccio sia l’attore che il regista dei miei spettacoli da anni. Questa combinazione è la forma migliore per esprimermi. Innanzitutto ci metto la faccia: se qualcuno ha qualcosa da dire o da fischiare, mi trova lì presente. Sono partito da una formazione attoriale, poi ho aggiunto la regia e ora il ruolo di direttore di teatro. Provengo per simpatia e affinità dalla stagione che, dopo la Commedia dell’Arte, considero la più fortunata del teatro italiano, ovvero quella dei grandi capocomici, che va dalla fine dell’Ottocento alla metà del Novecento, periodo in cui sono nati i teatri stabili. Un’epoca che ha offerto la possibilità di vedere il grande teatro italiano, con la straordinaria fortuna di poter apprezzare attori magnifici, primi fra tutti Eleonora Duse, Eduardo De Filippo, Tommaso Salvini, Gustavo Modena e tanti altri ancora. In Italia il teatro di prosa si fonda sugli attori: dalla Commedia dell’Arte in poi l’attore italiano ha influenzato l’arte drammatica in tutto il mondo. Basti pensare che il maestro di Molière era un attore italiano e che il metodo di Stanislavskij è stato ispirato da un attore italiano. I grandi maestri della regia in Italia non hanno fatto scuola, non hanno lasciato discepoli, sono stati i grandi attori a fare sempre scuola. Gian Maria Volonté ha lasciato dei discepoli ad esempio; io stesso mi ritengo in qualche modo tale, anche se non ho mai avuto la fortuna di conoscerlo personalmente. Credo profondamente nel teatro capocomicale capace di valorizzare il lavoro degli interpreti. Il regista non deve imporre la propria visione, deve condividere il processo creativo con gli attori. Questo mi ha portato, in modo piuttosto naturale, a essere un attore che dirige i suoi spettacoli. Durante le prove mi muovo tra l’essere dentro e fuori dal lavoro, il che mi permette di cogliere le dinamiche sia dello spettacolo sia degli interpreti, le loro necessità, le eventuali difficoltà che incontrano.

Lodo Guenzi, Molto rumore per nulla © Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale

Dopo il successo dello spettacolo estivo in permanenza Titizé, entriamo ora nel vivo di questa nuova stagione del Teatro Goldoni di Venezia che debutta con Il Milione di Marco Paolini, per proseguire poi con Lodo Guenzi e Veronica Cruciani alle prese con Shakespeare, Emma Dante, Andrea Pennacchi, solo per citare i primi, attesissimi appuntamenti. Quale intreccio di storie vedremo rappresentate e quale idea teatrale verrà offerta al pubblico?
La risposta è già contenuta nei titoli che ha citato, a partire da Marco Paolini, il ‘prodotto’ più luminoso di questa terra. Di lui si possono dire solo meraviglie per quanto è stato capace di reinventarsi continuamente sempre cimentandosi su temi estremamente affascinanti e ‘ombrosi’, almeno finché non li ha portati alla luce lui. E poi, certo, Lodo Guenzi, Emma Dante, Andrea Pennacchi, che insieme a Baliani riscrive il classico Arlecchino servitore di due padroni, Silvio Orlando, Arturo Cirillo, Stivalaccio Teatro… Tante possibilità, una straordinaria pluralità di visioni. Questi artisti non solo radicano il loro lavoro nella tradizione, ma lo ampliano, portando freschezza e innovazione. La pluralità di voci in questo programma è un elemento chiave: ogni artista ha una visione unica, irriducibilmente propria, e questo è ciò che trovo entusiasmante. Il lavoro di reinterpretazione di una commedia shakespeariana di Lodo Guenzi, teatrante prestato alla musica, anziché il contrario come pensano tutti, è molto interessante e a tratti molto divertente. Emma Dante è la punta più luminosa di un certo tipo di teatro che ha sempre fatto fatica in Italia. In un contesto in cui le donne oggi si trovano ancora ad affrontare significative sfide, Emma Dante è riuscita con una personalità potentissima a rendere il teatro di ricerca un prodotto amato da moltissime persone. La carriera di Pennacchi la conosciamo tutti; ora si mette a disposizione di Baliani per reinventare un Arlecchino contemporaneo. Ecco, questa è la mia idea di teatro: ogni volta che mi viene proposto un progetto che non comprendo appieno inizio ad appassionarmi e a incuriosirmi, perché si tratta di uno stile o di un gusto della fantasia che non conosco e rappresenta dunque l’inizio di uno scambio di ricchezza, di un qualcosa che mi potrà soltanto migliorare.

Immagine in evidenza: Filippo Dini  © Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale – Photo Marco Zambon

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