La teorica della moda, critica d’arte e curatrice veneziana ci guida dentro Memorabile. Ipermoda, una mostra ospitata al MAXXI di Roma che scandaglia il ruolo sociale, culturale ed economico della moda tra il 2015 e oggi.
Combinazioni inaspettate rendono le immagini memorabili
Per molti anni ha insegnato Pratiche curatoriali nella moda alla laurea magistrale in Arti visive e Moda dell’Università Iuav di Venezia, infondendo ai suoi studenti soprattutto un pensiero critico, rivendicando la necessità di infrangere i confini disciplinari, di promuovere continui sconfinamenti in altri campi, per l’urgenza di creare più domande che risposte. Lo stesso approccio con cui ha costruito e continua a costruire tutti i suoi progetti di ricerca, studio, lavoro e vita. Incontriamo Maria Luisa Frisa a Venezia per farci guidare in anteprima dentro la “sua” Memorabile. Ipermoda, mostra organizzata in collaborazione con Camera Nazionale della Moda Italiana, che apre il 27 novembre al MAXXI di Roma, un progetto in forma di mostra e di libro che racconta il desiderio di bellezza che pervade questi nostri anni. Abiti favolosi, accessori unici, ma anche riviste, libri, video guidano l’esplorazione di un presente che la moda interroga con la sua capacità di essere reattiva a ogni impulso, sia esso sociale, politico, economico, culturale. Memorabile. Ipermoda esplicita la capacità del progetto/gesto curatoriale di “fare storia”, in questo caso di rendere “memorabile” il modo in cui la moda e le sue forme riescono a rappresentare la contemporaneità e i temi che l’attraversano.
La moda è l’architettura più prossima al nostro corpo, l’oggetto, il manufatto, ciò in cui abbiamo bisogno di riconoscerci, e al tempo stesso lo strumento che usiamo quando vogliamo essere ricordati.
Partiamo dal titolo Memorabile. Ipermoda. In un momento in cui tutto passa e si consuma in fretta, quale la tua definizione di “memorabile”?
Bella domanda. Memorabile è qualcosa che ricordiamo, che ha a che fare con la nostra memoria, con il nostro ricordo, ed è anche qualcosa che provoca una grande emozione, per questo motivo diventa memorabile. Un’emozione, che non è detto sia sempre positiva, può essere anche qualcosa che ci colpisce in negativo. In questo momento abbiamo bisogno di immagini, di forme, di cose in grado di suscitare grandi emozioni, che quindi ricorderemo. Non è un caso se ultimamente si sente spesso parlare della “necessità di meraviglia”. Questa definizione di “memorabile” può essere anche la definizione della mostra stessa: un’immagine talmente forte che provoca emozione, perché in fondo abbiamo sempre più bisogno di emozioni, oltre che di una buona dose di romanticismo, e la moda è l’oggetto forse più comprensibile per tutti, è un linguaggio capace di raggiungere chiunque e, soprattutto, è quel territorio in cui ancora si lavora per destare meraviglia. La moda, infatti, è da sempre legata a un’idea di sogno, ma è qualcosa di strettamente legato anche a noi, al nostro corpo. La moda è l’architettura più prossima al nostro corpo, l’oggetto, il manufatto, ciò in cui abbiamo bisogno di riconoscerci, e al tempo stesso lo strumento che usiamo quando vogliamo essere ricordati. Pensiamo a tante figure iconiche, come ad esempio la Marchesa Casati: ogni sua apparizione diventava un’immagine memorabile. Molto spesso la moda viene utilizzata per rendersi indimenticabili.
La mostra, attesissima, al MAXXI di Roma scandaglia il presente e il ruolo della moda tra il 2015 e oggi, con un’indagine a largo raggio sulla moda come struttura creativa fondamentale della società, della cultura e dell’economia mondiale. Da dove sei partita per costruire un panorama non solo vasto, ma evanescente e in continua evoluzione?
La mostra nasce da un fatto molto semplice, ovvero dalla lettura di un libro sull’oggetto-persona dell’antropologo Carlo Severi, che ha lavorato anche sul tema della “chimera”. L’oggetto-persona. Rito memoria immagine è un libro molto complesso che ho letto in maniera trasversale, come quando ti colpisce una cosa e vuoi utilizzarla, incorporarla nel tuo lavoro. Severi parla dell’oggetto abito come di qualcosa che possiede una grande forza anche estranea a noi, al di fuori di noi, e questa è la moda. Da qui mi è venuta l’idea di costruire una mostra che affrontasse questo tema e nello stesso tempo registrasse il momento presente, in cui la moda è attraversata da una smania di gigantismo e vuole a tutti i costi essere memorabile. Ecco, allora, immagini che devono colpire la fantasia: abiti stratosferici nelle sfilate, che di fatto non sono più nemmeno sfilate ma veri e propri eventi, performance, happening in straordinarie location come l’inedito castello scozzese di Drummond scelto da Dior, la sfilata di Vuitton a Seul lungo il ponte sommergibile Jamsugyo sul fiume Hangang, o, ancora, l’ultima di Alessandro Michele per Valentino, che ha utilizzato come ‘passerella’ l’opera di un artista come Alfredo Pirri. Tutte queste azioni sono veramente molto forti emotivamente, restituiscono un altrove meraviglioso; la moda negli ultimi anni lavora proprio in questa direzione. Se dovessimo fare il paragone con le sfilate anche di pochi anni fa, diciamo fino al 2000, vedremo che avvenivano in posti molto tranquilli, l’una simile all’altra, con qualche eccezione per l’allestimento – penso ad esempio John Galliano da Dior –, però comunque non con la moltiplicazione di varianti che c’è ora, con immagini che sulla rete devono essere replicate infinite volte affinché tutti le possano vedere nello stesso momento, con la meraviglia accessibile a chiunque, anche solo attraverso lo schermo di un cellulare. Il mio desiderio non era tanto di spiegare, e infatti in mostra spiego assai poco, quanto di mettere insieme questi elementi e di definire, restituire questo stato delle cose in perenne e dinamico divenire. Riguardo la selezione degli abiti è il curatore ad operare una scelta, e la scelta è sempre personale, anche perché, come diceva Harald Szeemann, «il curatore è un autore e la mostra è la sua opera».
Qual è l’oggetto o abito da non perdere in mostra e che hai voluto a tutti i costi?
Questo non lo posso dire. Il dato più importante e rilevante è che gli autori che ho interpellato hanno risposto tutti positivamente; un esempio su tutti Alessandro Michele, il quale ha mandato due abiti della nuova collezione che ha sfilato solo poche settimane fa. Sono molto contenta, ho ottenuto degli abiti veramente pazzeschi, tutti quelli che ho scelto hanno per me qualcosa di speciale. Quando chiedo che mi venga mandato un abito sono io a scegliere quale, quindi nella mia testa ho già ben chiaro ciò che voglio esporre e quello che mi serve per la mostra. Non è detto che sia per forza l’abito più bello, ma piuttosto l’abito che secondo me è più giusto, perché quando è stato realizzato era espressione dell’urgenza di quel dato momento.
Certo una selezione va sempre fatta, non creiamo repertori enciclopedici. Tutti i designer che mi interessavano sono presenti. A partire da Miuccia Prada, la persona che più ha influenzato la moda contemporanea con il suo lavoro; è stata davvero un apripista e un’ispirazione per tutti. E poi ha avuto il coraggio, da qualche stagione, di chiamare un autore come Raf Simons a cofirmare le collezioni con lei, cosa che nessuno prima d’ora aveva mai fatto. Mi preme ricordare anche che nella moda non c’è solo couture, alta moda; in mostra, perciò, si possono ammirare anche alcuni vestiti o oggetti di direttori creativi indipendenti, come Marco Rambaldi per citarne uno, che con il loro lavoro rappresentano nel loro insieme un segmento davvero importante del settore. Per esempio ho voluto fortemente la tartaruga in oro e pietre di Francesco Vezzoli realizzata da Bulgari e la borsa Ikea progettata da Virgil Abloh, che costa cinquanta euro: pezzi sideralmente distanti dalle creazioni dell’alta moda, eppure espressione di uno stesso desiderio di intervenire non tanto sulle forme in sé, quanto su ciò che rappresentano, divenendo oggetti emblematici della volontà dei designer di segnare l’estetica del mondo attraverso le proprie creazioni che fermano un momento.
Invece di indicarne solo qualcuno, allora, cito di seguito tutti gli autori e i marchi che ho voluto in mostra, proprio per restituirne la composita struttura e l’identità molteplice: ACT N°1, Alexander McQueen, Ann Demeulemeester (direttore creativo: Stefano Gallici), Armani Privè, Balenciaga (direttore creativo: Demna Gvasalia), Bottega Veneta (direttore creativo: Matthieu Blazy), Bulgari, Craig Green, Coperni, Delfina Delettrez, Diesel (direttore creativo: Glenn Martens), Dilara Findikoglu, Dior (direttori creativi: Raf Simons; Maria Grazia Chiuri), Dolce & Gabbana, Etro (direttore creativo: Marco De Vincenzo), Fendace (Kim Jones e Donatella Versace), Fendi (direttore creativo: Kim Jones), Ferragamo (direttore creativo: Maximilian Davis), Garbage Core, Grace Wales Bonner, Gucci (direttori creativi: Alessandro Michele; Sabato De Sarno), Iris van Herpen, J.W. Anderson, Jacquemus, Judith Clark, Loewe (direttore creativo: J.W. Anderson), Louis Vuitton (direttori creativi: Virgil Abloh; Pharrell Williams), Maison Margiela (direttore creativo: John Galliano), Marc Jacobs, Marco Rambaldi, Marni (direttore creativo: Francesco Risso), Max Mara, Medea, Miu Miu, Moncler Genius, Moschino (direttore creativo: Adrian Appiolaza), MSGM, Prada, (direttori creativi: Miuccia Prada e Raf Simons), Priscilla Anati, Rick Owens, Saint Laurent (direttori creativi: Hedi Slimane; Anthony Vaccarello), Schiaparelli (direttore creativo: Daniel Roseberry), Stone Island, Thom Browne, Valentino (direttori creativi: Pierpaolo Piccioli; Alessandro Michele), Versace, Viktor & Rolf, Virgil Abloh per Ikea.
Come sei riuscita a rendere manifeste e tangibili le tue scelte in mostra?
La mostra viene ospitata nella galleria cinque del MAXXI, un luogo un po’ particolare, con il montacarichi in mezzo e una parete interamente di finestre. Non proprio una sfida semplice per l’allestimento. Gli architetti, i Supervoid basati a Roma e che sono davvero bravissimi, hanno immaginato delle pedane a semicerchio in materiale lucido, sembra quasi latex, nei colori pastello tipici del make-up, che diventano “teatrini”, come li chiamo io, ciascuno orientato in maniera differente in modo da creare disvelamenti o punti di vista diversi. Inizialmente la mostra era pensata per temi, poi mi sono resa conto che la maggior parte dei pezzi potevano essere inclusi in diversi temi, per cui alla fine mi sono lasciata la libertà di decidere la disposizione finale direttamente in mostra, al cospetto diretto con gli abiti, nell’atto di posizionarli uno accanto all’altro, lasciando le tracce di un percorso per titoli/temi come fossero degli appunti su un taccuino, una nota scritta a margine di un libro. La bellezza delle mostre di moda, assai più che nelle mostre d’arte, sta nel poterci ‘entrare’, vedere ad esempio gli abiti in 3D, potendoci girare attorno e osservandoli da ogni possibile prospettiva o angolazione. Ogni singolo pezzo in questa mostra, dunque, sarà rappresentazione, racconto di una precisa ricerca, dichiarazione di poetica, espressione di un desiderio di essere parte attiva di una storia che si colloca nel presente; un presente non necessariamente lineare. Ogni oggetto in mostra esprimerà sé stesso ma allo stesso tempo sarà frutto di memorie, emozioni, intenzioni, visioni personali e collettive.
Le nuove generazioni di designer, confrontandosi con un patrimonio incredibile, attraverso le proprie creazioni restituiscono più un proprio percorso personale, oppure più estesamente una visione sistemica di una moda che ripensa sé stessa in un dialogo tra presente e passato? Quale l’equilibrio perfetto tra designer e brand? Stile e/o personalità?
La moda ha sempre lavorato sulla sua storia, è sempre successo, è l’unico sistema che si rinnova guardando al passato in maniera dichiarata. In Memorabile c’è naturalmente la parola “memoria” e non solo perché ricordo qualcosa, ma perché la moda ha sempre memoria della sua storia. Sicuramente sono cambiati moltissimo i paradigmi progettuali negli ultimi anni, tuttavia la memoria agisce costantemente: i marchi permangono al di là dei propri fondatori; pensiamo ad esempio a Dior o a Gucci e a quanti direttori creativi hanno avuto nel tempo. Tutti questi direttori creativi hanno dovuto e devono fare i conti con le icone del brand e al tempo stesso con la propria autorialità, pensando a portare il marchio nel futuro. Tuttavia la memoria degli elementi iconici di un brand rimane assolutamente necessaria, altrimenti si perde la riconoscibilità stessa del marchio. Questa è una sfida che oggi più che mai i direttori creativi devono affrontare: la dimensione dell’archivio, un laboratorio in cui i materiali che la storia del marchio ha sedimentato vengono continuamente riattivati e ridefiniti di senso. L’archivio supera così l’organizzazione cronologica per diventare un arcipelago in cui le diverse temporalità convivono nell’immaginazione del direttore creativo, che deve saperlo governare. D’altro canto spesso dimentichiamo che sempre più la moda mette in atto diverse pratiche che appartengono all’arte contemporanea; è diventata assai più concettuale rispetto ad un tempo. Il direttore creativo non sta più seduto dietro un tavolo a disegnare la collezione, ma è colui che fattivamente costruisce un immaginario. Per me è l’equivalente di un allenatore di calcio, che deve coordinare tutto il mondo che costruisce: le collezioni uomo, donna, accessori… Oggi più che mai il direttore creativo lavora in una dimensione di riflessione, in cui i valori che dà al proprio progetto assumono sempre maggiore rilevanza. Pensiamo, ad esempio, al significato che ha avuto il femminismo nel lavoro di Maria Grazia Chiuri, oppure ad Alessandro Michele, con il superamento dell’idea di bellezza o di genere fisso, cosa che ha fatto anche Marco Rambaldi con i corpi non conformi. La moda si fa portatrice e veicolo di messaggi proprio perché avverte la propria responsabilità nell’essere un sistema così potente. Tra opportunismo ma anche vera credenza, la moda porta avanti e alla luce tanti temi che sono di fondamentale importanza in questo momento.
La moda e gli altri linguaggi. Sfilate sempre più performance che ricercano luoghi, atmosfere, artisti e personalità altre (musicisti, performer, sportivi…). Quali i valori contemporanei che plasmano i linguaggi e i modelli di produzione della moda? Visioni utopiche ed effimere o reale spinta verso un futuro prossimo?
Stiamo guardando il nostro tempo. La moda è uno straordinario sismografo: utilizza tutte le altre discipline, dall’arte al design, dal cinema alla musica, per registrare tutto. Non so se possa prevedere il futuro, ma sicuramente intercetta in maniera molto precisa le vibrazioni del momento e le rende comprensibili e tangibili. Pensiamo a come Armani ha registrato il passaggio tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, non solo con la donna in carriera ma anche con l’uomo, che veste con dei materiali femminili, leggeri, andando ben al di là dei canoni della sartorialità maschile tradizionale. L’uomo e la donna contemporanei sono stati vestiti da Armani e nessuno ha saputo interpretare quel passaggio come lui. La moda italiana è riuscita a decifrare perfettamente quel momento. Il prêt-à-porter – che qualcuno chiama Made in Italy, ma a me non piace come espressione – rappresenta proprio la capacità che ha avuto la moda italiana di realizzare un prodotto di qualità in serie per vestire gli uomini e le donne della fine del Ventesimo secolo. Quella è stata la grande rivoluzione: realizzare un prodotto di qualità più accessibile che non rappresentasse né l’alta moda inarrivabile, né la confezione priva di stile. Non a caso la parola “stilista” deriva proprio da questo processo: colui che dà lo stile alla confezione. L’industria italiana è stata fantastica e continua a produrre tutto quello che viene progettato nel resto del mondo. Da Dior a Vuitton tutto viene realizzato in Italia, perché l’industria italiana possiede una qualità per cui tutto è possibile. Nessuno dirà mai da noi che qualcosa non si può fare, preferendo, grazie a delle qualità difficilmente imitabili da altri, trovare creativamente sempre delle soluzioni ai problemi. Questo è quello che ha prodotto il Made in Italy, ovvero un’altissima qualità artigianale unita a una straordinaria intelligenza industriale.
La moda continua ad essere sempre linguaggio, comunicazione e persino propaganda. Il ruolo della stampa: «I giornali stampati sono ancora come la punta di diamante su una corona» ha dichiarato Anna Wintour. È ancora così?
Nel libro della mostra abbiamo voluto inserire una serie di ristampe anastatiche di alcune interviste a designer e direttori e direttrici realizzate da riviste indipendenti: approfondimenti che può fare solo la carta stampata. Tuttavia oggi è davvero cambiato il ruolo della carta stampata. Per la mia esperienza con gli studenti posso dire che pochissimi comprano i giornali perché l’accesso all’informazione è completamente un altro rispetto a prima. Però è anche vero che i giornali ultimamente sono diventati delle piattaforme, dove si intrecciano la produzione di eventi e molte altre cose ancora. La carta stampata deve avere più un valore di critica e approfondimento, perché la notizia in sé ora è già bruciata nel momento stesso in cui si stampa. Personalmente, nella mia formazione le riviste sono state importantissime e in mostra c’è quindi un tavolo esclusivamente dedicato a riviste e pubblicazioni di moda. D’altra parte anche le case di moda stampano tantissimi libri. La carta stampata per me continua ad avere una grande importanza, diciamo solo che si è trasformata.
Hai voluto restituire Memorabile non con un classico catalogo da mostra, bensì attraverso un vero e proprio libro. Come è nata questa esigenza?
Il libro è stato complicatissimo. L’idea grafica è di Bruno, lo studio grafico con cui ho lavorato anche in passato, l’editore Marsilio. Il libro è costruito come se fosse composto da una serie di screenshot di sfilata, quindi come un montaggio continuo di immagini. I testi, invece, è come se li scrollassi sullo schermo del computer o del cellulare. Hanno contribuito al catalogo Emanuele Coccia, Alessandro Giammei, il bravissimo giornalista inglese Alexander Fury, Luis Venegas, Nick Rees-Roberts, Gabriele Monti, Silvia Schirinzi, Dylan Colussi, Judith Clark. Tanti punti di vista diversi per restituire la complessità della moda. Non voglio ci sia niente di assoluto o di chiuso, perché un lavoro come il mio si svolge e si dipana attraverso una serie aperta di domande alla ricerca di una visione volutamente incompleta della moda del presente, i cui confini sono il più possibile mobili e porosi. Un punto di partenza, non di arrivo.
Progetti per il prossimo futuro?
Memorabile. Ipermoda che apre il 27 novembre, sarà accompagnata da un public program con una serie di incontri che mi terranno impegnata fino a marzo 2025. Il 12 novembre esce per Einaudi il mio libro I racconti della moda, che presenterò proprio lo stesso giorno alla libreria Marcopolo qui a Venezia. Dopo di che sarò impegnata con le presentazioni del libro. Al momento sono concentrata su questi due progetti per me molto importanti.