Prima nazionale per l’opera teatrale di Peter Handke Ancora tempesta, messa in scena per la regia di Fabrizio Arcuri al Teatro Goldoni dal 9 all’11 maggio, con protagonista Filippo Dini, Direttore del Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale.
Nato in Carinzia (Austria) nel 1942 da padre austriaco e da madre facente parte della minoranza slovena, Handke non ancora trentenne abbandona gli studi di giurisprudenza per dedicarsi alla scrittura. Il suicidio della mamma nel 1971, infatti, segna drammaticamente e nel profondo la vita del giovane scrittore, diventando l’ispirazione per il romanzo semi-autobiografico Infelicità senza desideri. Il vissuto personale di Handke rimarrà sempre un’importante ispirazione per la sua produzione artistica. Fondamentale l’immersione introspettiva sulla quale lavorerà intensamente, trasformandosi spesso in etnografo di sé stesso.
L’autore si farà presto notare in ambito letterario, rivelando una particolare personalità nella scrittura, che intende come la tecnologia del linguaggio che lascia maggiore libertà. Se condo i suoi schemi la costruzione di una frase può essere conti nuamente aperta, chiusa, smembrata, ricostruita, aggiustata, limata, demolita e risorta. Durante lo sviluppo dell’idea, sostiene che nella creazione narrativa è necessario arrendersi alla perdita e accettare la scia di scomparsa che si semina nella trasformazione da pensie ro a parola. I risultati del testo non sono mai certi o compiuti, ma spesso rimangono orfani, comunque chiusi dentro a un minimalismo denso e descrittivo, pieno di visioni cinematografiche. La lingua scritta si appoggia al parlato, al gesticolare, al codice del corpo e alle espressioni facciali, si rimane sempre sul crinale tra narrativa e recita, dove entrambe sembrano perdere la loro natura per dar vita a una forma ibrida e asciutta, ma mai così penetrante. Già dalle prime righe di Ancora Tempesta si deve fare i conti con una scrittura destinata al teatro, ma che sembra somigliare più alla forma del romanzo.
Il turbinio della parola, che tende a costruire prosa rigettando la tradizionale struttura delle battute da copione, modella attraverso una lingua dirompente un composto che non è un testo, ma una partitura che conduce dritti all’evento teatrale, una sorta di storia raccontata e messa in scena. L’autore sa che i suoi lettori saranno anche i suoi spettatori, seduti e fermi con lo sguardo dritto sul palco, costretti a lavorare durante la recita per creare loro stessi l’immagine di quanto ascolteranno. Il carattere epico di questa pièce, viene evocato fin dal titolo della storia (rimandandoci a un passaggio shakespeariano) e si esplicita nei personaggi, quegli attori reali, dell’unico episodio di guerra partigiana svoltosi entro i confini del Terzo Reich. L’opera si articola in cinque dialoghi che l’autore, ormai anziano, intrattiene con i suoi avi sloveni di Carinzia, i quali appaiono molto più giovani di lui. Sulla scena li per cepiremo eterei: la madre giovanissima, due zii caduti al fronte e due che si sono dati alla macchia per combattere i nazisti, i nonni. Questa particolare assemblea onirica, oltre a evocare il dramma del conflitto bellico, è la proiezione della personale storia dell’autore e dell’intimo conflitto identitario. Egli si sentirà amato e odiato dai suoi, ma straniero a sé stesso perché figlio di una slovena e del nemico germanico. In Ancora Tempesta l’infanzia non è un tema ma una partenza, un passaggio: «Un bambino non conosce la tragedia, non conosce il destino, da qui deriva tutta la sua potenza».
Goethe scriveva: «Se sei un bambino sei invincibile». La voce narrante cambierà età di capito lo in capitolo, come alla ricerca del corpo più adatto per raccontare. Handke si fa bambino, adulto, madre, zia, soldato, cantore della Carinzia, sarà quel custode di tradizioni orripilato dalla macchina della Storia che frulla i corpi dei popoli. La narrazione scorre sempre mescolata al dibattito intimo che lo spinge a rielaborare il pensiero intellettuale, ritenendolo tuttavia il frutto di un vissuto imposto, di un bagaglio ereditato. Un circolo vizioso dove il dibattito bascula senza possibilità di risoluzione. «Non passa giorno senza di voi. E senza di voi non c’è domani. Con voi ho avuto una presa di coscienza. Siete voi la mia coscienza, il mio destino». Handke non è solo narratore ma è anche spettatore egli stesso di un diorama dentro il quale patria, destino, gloria, sono le parole sonore di sottofondo che descrivono la Storia, parole che vengono a rive larci una tanto semplice quanto terribile verità: di quella Storia siamo tutti responsabili.
Intervista a Filippo Dini, neodirettore artistico del Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale