I “capitoli che non ci sono”, il domani della Mostra

di Gian Piero Brunetta
  • sabato, 10 settembre 2022

È indubbio che la Mostra del Cinema di Venezia come forse nessun altro evento consimile sia stata in grado di mantenere intatta, e per certi versi di accrescere, una dimensione di sacralità dello spettacolo.
Vedo Venezia come punto di riferimento non tanto per il lancio commerciale di un film, quanto per la sua innata capacità di rivestire la pellicola di un’aura che si sta indubitabilmente perdendo in giro per il mondo, anche per la polverizzazione delle modalità di fruizione del prodotto filmico grazie all’esplosione e alla proliferazione delle piattaforme in streaming.
Il fatto che Venezia abbia accolto e premiato lavori prodotti e distribuiti da Netflix è un segno della sua visione aperta al divenire, al domani. Un futuro che è già presente, se non addirittura passato prossimo, che magari potrà generare difficoltà negli anni a venire all’industria del cinema intesa con i canoni novecenteschi, di cui credo però la Mostra sarà l’ultima a soffrire paradossalmente proprio alla luce della sua veneranda età.
La Mostra del Cinema di Venezia rappresenta ancora un’isola in tutto e per tutto, storicamente, geograficamente, culturalmente: si porta dietro la forza straripante della città e della Biennale, una forza che in quei dieci giorni di indigestione filmica si percepisce tangibile nei luoghi occupati dal pubblico e dalla critica, da attori e registi.
A dispetto di ogni possibile scenario distopico, questi sono gli elementi che mi fanno guardare al domani con discreto ottimismo qui al Lido.

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