Venini: Luce 1921-1985, curata da Marino Barovier, è una mostra emozionante e sorprendente, che racconta a Le Stanze del Vetro della Fondazione Giorgio Cini la meravigliosa vicenda di Venini.
Partiamo dalla fine, dagli allestimenti speciali e spettacolari ospitati fuori dagli spazi espositivi abituali, in Sala Carnelutti, resi necessari per la ricostruzione di due installazioni in grande scala: quella che ripropone in forma ridotta la schermatura del lucernaio di Palazzo Grassi, realizzata nel 1951 con “velari” in cavi d’acciaio e sfere in vetro di differente formato, e quella che ricrea in uno spazio neutro la grande installazione realizzata da Carlo Scarpa con elementi in vetro poliedrici di tre differenti colori per il Padiglione del Veneto alla Mostra delle Regioni di Italia del 1961 a Torino. Quest’ultima, immagine simbolo della mostra stessa e del bellissimo catalogo edito da Skira, è la vera sintesi del ruolo cruciale svolto dalle produzioni Venini nella storia dell’architettura italiana e del made in Italy, uno spazio-installazione che annunciò al tempo le ricerche degli anni Sessanta.
È proprio la ricerca senza limiti e senza confini che contraddistingue la produzione Venini da Sottsass a Wirkalla, come abbiamo avuto modo di ammirare in questi anni nelle precedenti indagini espositive de Le Stanze del Vetro con allestimenti che ci hanno restituito emozioni e significati profondi sui tanti miti, ebbene sì, anche industriali e relativamente recenti di questa città infinita.
Il nucleo della mostra Venini: Luce 1921 – 1985 si snoda negli spazi de Le Stanze del Vetro attraverso un percorso puntuale costruito con materiali tratti da archivi d’impresa e d’artista, che costituiscono il consistente patrimonio della vetreria-mito e della sua formidabile produzione illuminotecnica. Una sorta di emblema della reinvenzione dell’artigianato artistico nella prospettiva di un abitare moderno per creare un nuovo stile, elegante e contemporaneo.
Il successo di queste produzioni fu quasi immediato e l’affermazione dell’impresa passò per le grandi esposizioni. Venini, fin dalle sue origini, sarà presente infatti in tutti i luoghi della creazione dello “stile italiano” degli anni Venti, quali la Triennale di Milano, la Biennale Arte di Venezia, la Quadriennale di Roma, l’Esposizione Nazionale e Internazionale di Torino, e poi con lavorazioni speciali allargherà l’offerta incentrata sui vasi verso quella di oggetti stilizzati e manufatti per l’illuminazione pubblica e privata.
Le collaborazioni saranno nel Dopoguerra sempre più talentuose: non solo Tomaso Buzzi, Gio Ponti e Carlo Scarpa, ma anche giovani emergenti dal glorioso futuro internazionale come Massimo Vignelli, presente in questa mostra con le sue formidabili “Cipolle”. Le sale si susseguono evidenziando la ricerca incessante nella messa a punto di sistemi a moduli di fasce in vetro, con differenti superfici e disegni, accostabili con supporti in metallo teoricamente impilabili senza fine. Queste produzioni garantiranno, nella costante fornitura per cantieri di opere pubbliche quali stazioni ferroviarie, uffici postali e amministrativi, banche, teatri, alberghi, una dimensione industriale capace di supportare la ricerca artistica e la piccola produzione artigianale, che sempre distinguerà il nome Venini.
Venini è dunque al centro del sogno della luce artificiale che, grazie al materiale vetroso, partecipa e qualifica lo spazio del residenziale e del pubblico. Un ulteriore tema fondamentale, messo in rilievo dalla mostra, è la produzione a partire dalla fine degli anni Cinquanta di elementi modulari usati per la creazione di sospensioni, lampade a parete e soprattutto grandi installazioni a soffitto. Un vasto catalogo di tipologie che spazia dagli iconici poliedri alle canne piene e vuote con diverse sezioni, dimensioni e finiture, come narrata dalla documentazione fotografica che evidenzia come questi corpi luminosi in vetro caratterizzano i paesaggi domestici, urbani, industriali degli anni del Dopoguerra fino agli anni Ottanta.
Per certi versi si tratta della mostra definitiva de Le Stanze del Vetro, Venini: Luce 1921-1985, curata da Marino Barovier, rappresenta uno sforzo di ricerca notevole sotto diversi punti di vista: la ricostruzione di un archivio immenso e il lavoro di sintesi necessario per raccontare oltre mezzo secolo di produzione della storica vetreria e la riproduzione delle due enormi installazioni letteralmente ricreate per questa mostra – 4000 poliedri realizzati appositamente per ricostruire l’opera a partire dalle immagini dell’epoca. Grazie davvero a Marino Barovier e a Le Stanze del Vetro per aver narrato così efficacemente la storia di una vetreria che ha contribuito in modo fondamentale al mito del vetro e della sua capitale, Venezia.