Poliedriche visioni

Due grandi installazioni restituiscono l’essenza del vetro di Venini
di Mariachiara Marzari

Chiusa la mostra Venini: Luce 1921 – 1985, rimangono visitabili fino al 9 luglio le due grandi installazioni ospitate nella Sala Carnelutti e Piccolo Teatro della Fondazione Cini.

Quando finiscono, alcune mostre lasciano un segno tangibile e direi indelebile per l’indagine critica che le ha caratterizzate, per la ricostruzione storica e culturale di progetti di rilievo, per la possibilità di vedere riuniti in modo filologico pezzi rari o non più esistenti o presenti in collezioni private. È il caso della mostra Venini: Luce 1921 – 1985, curata da Marino Barovier, un approfondimento puntuale e spettacolare sull’attività della celebre fornace nel campo dell’illuminazione. Terminata ai primi di gennaio nella sua parte espositiva in senso stretto, cioè negli spazi de Le Stanze del Vetro – anche se continua a essere visibile online grazie al virtual tour –, la mostra mantiene in essere una parte della stessa, cioè quella ospitata nella Sala Carnelutti e Piccolo Teatro della Fondazione Cini, proprio a fianco alla Basilica di San Giorgio. Concepita come uno spin-off , questa parte dell’esposizione, che sarà visitabile fino al 9 luglio, si connota per la ricostruzione di due installazioni spettacolari non più visibili, che restituiscono in maniera evidente come Venini, grazie alle collaborazioni con illustri architetti, il più delle volte visionari, e la professionalità del suo team di artigiani del vetro, potesse realizzare. Un manifesto del made in Italy ante litteram, divenuto poi iconico, e una lezione modernissima sulla duttilità del vetro di Murano non solo nell’illuminazione ma proprio come elemento dell’architettura.

Si tratta della ricostruzione scenografica del celebre Velario, realizzato nel 1951 per la copertura di Palazzo Grassi in occasione del restauro dell’edificio divenuto sede del Centro Internazionale delle Arti e del Costume, e il monumentale lampadario a poliedri policromi, progettato da Carlo Scarpa per il padiglione del Veneto all’esposizione di Torino Italia 61 nel 1961, organizzata per celebrare il centenario dell’Unità d’Italia.

Il Velario fu ideato come schermo del lucernario vetrato del cortile: a filtrare la luce che proveniva dall’alto fu collocata una serie di “festoni” formati da cavi d’acciaio e sfere in vetro cristallo balloton di tre misure, disposte secondo una sequenza prestabilita. I festoni alla sommità erano agganciati a una piastra rettangolare in vetro a prismi e ricadendo verso il basso, fino al cornicione dell’ultimo piano, andavano a formare idealmente quattro pareti ricurve semitrasparenti. Il cortile si trasformava così in un “luminoso salone dal soffitto a globi di vetro”. Nel 1961, Carlo Scarpa scelse di adoperare i poliedri per realizzare una vera e propria installazione (base m 5 x 5 e altezza massima m 5,5): collocata al centro dell’ambiente a pianta quadrata, sopra una vasca d’acqua della stessa forma, la struttura era composta da un articolato volume a tronco di piramide rovesciato che si prolungava verso il basso. “Una enorme stalattite” realizzata con circa 3000 poliedri policromi dalle tenui colorazioni che la fecero apparire come “una ruscellante cascata di tenere vibrazioni di luce e di colore che anima lo spazio, ed esalta la vasca sottostante riempiendola di una miriade di riflessi”.

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