Azzurro polvere

Ca' Rezzonico, simbolo veneziano che si riapre al mondo
di Fabio Marzari, Franca Lugato

Ca’ Rezzonico per la straordinaria qualità dell’architettura e degli ambienti è considerato il “tempio” del Settecento veneziano. Con il suo responsabile Alberto Craievich ne scopriamo gli spazi restaurati dopo i danni dell’acqua alta del 2019.

Storico dell’arte, Alberto Craievich è il responsabile di Ca’ Rezzonico, Museo del Settecento veneziano, e del Gabinetto dei disegni e delle stampe del Museo Correr di Venezia, fiore all’occhiello della Fondazione Musei Civici Veneziani. I suoi studi, dedicati in particolare all’arte veneziana del Sei e Settecento, sono pubblicati in numerosi volumi e riviste specializzate. Lo abbiamo incontrato in occasione della riapertura di Ca’ Rezzonico avvenuta a fine giugno, al termine dei lavori di restauro svoltisi principalmente al piano terra del Palazzo, necessari e indifferibili a causa dei danni significativi arrecati dall’Acqua Granda del 12 novembre 2019, intervento reso possibile grazie alla donazione da parte di Coop Alleanza 3.0 di oltre 450.000 euro. Oltre al restauro del livello compromesso dalla drammatica inondazione, i lavori hanno portato all’ampliamento della collezione, con integrazioni dai depositi e dalle donazioni private, al riassetto completo dell’illuminazione del Gabinetto dei disegni e delle stampe, ospitato dal 2021 nel mezzanino di Ca’ Rezzonico, alla messa in sicurezza del giardino e alla ridefinizione dei servizi di accoglienza nel Portico al pianterreno. Lo storico palazzo fu commissionato dalla famiglia Bon a metà del Seicento all’architetto Baldassarre Longhena, il progettista più celebre del periodo, artefice negli stessi anni di Ca’ Pesaro e della Basilica della Salute. Il monumentale progetto si dimostra tuttavia troppo ambizioso per le fortune dei Bon e il palazzo risulta non ancora terminato alla morte dell’architetto nel 1682. Poco dopo, vista l’incapacità della famiglia di sopportare le ingenti spese del cantiere, i lavori vengono bloccati e la fabbrica rimane incompleta. Nel 1750 Giambattista Rezzonico – la cui famiglia nel 1687 aveva acquistato la nobiltà attraverso esborso di denaro – compra l’edificio e ne affida i lavori di completamento a Giorgio Massari, all’epoca architetto di grido. Sarà questa famiglia a dare il nome al palazzo, i cui lavori vengono portati a termine in soli sei anni: in tempo per festeggiare l’inarrestabile ascesa sociale del casato culminata nel 1758, quando Carlo, figlio di Giambattista, è eletto pontefice con il nome di Clemente XIII. La parabola dei Rezzonico è tuttavia assai breve e si consuma già con la generazione successiva. Senza eredi maschi, la famiglia si estingue nel 1810 con la morte di Abbondio e nell’Ottocento il palazzo cambia proprietà più volte, progressivamente spogliato di tutti i suoi arredi. Ridotto a un contenitore vuoto, dopo varie vicissitudini e passaggi di proprietà il palazzo venne acquistato dal Comune di Venezia nel 1935. A conclusione delle necessarie opere di adattamento funzionale, il 25 aprile 1936 la sede museale dedicata al Settecento viene ufficialmente inaugurata: uno straordinario museo d’ambiente che nelle sue sale, oltre a presentare opere di una delle stagioni più felici dell’arte europea, conserva il fasto e lo splendore irripetibile di una dimora del Settecento veneziano. Il nostro intento è oggi qui di raccontare, tramite le parole di Alberto Craievich, l’importante operazione di restituzione alla città di Venezia di Ca’ Rezzonico, che inaugura un nuovo capitolo della sua straordinaria storia.

Quale idea sottende a questo Museo che ripropone l’arte, la vita, la bellezza, le storie, il sogno del Settecento, secolo di massimo splendore e di altrettanto inesorabile declino per Venezia?
Il Museo del Settecento Veneziano apre al pubblico il 25 aprile 1936 e nasce dalla somma di due diverse opportunità: da un lato l’intuizione di alcuni funzionari determinati a salvare le ultime raccolte significative del XVIII secolo rimaste a Venezia, dall’altro lato il fatto che il Comune aveva potuto acquisire uno dei palazzi più belli affacciati sul Canal Grande che, in mani private, avrebbe rischiato di avere altre, probabilmente assai meno congrue, destinazioni. Ca’ Rezzonico risulta perfetto come contenitore perchè rispecchia pienamente questo suo specifico contenuto. Altro fattore storicamente decisivo per il recupero e la destinazione museale del palazzo sarà poi la scelta di colui il quale verrà chiamato ad allestire il nuovo Museo, vale a dire il critico d’arte e museografo Nino Barbantini, che opera a Ca’ Rezzonico in collaborazione con Giulio Lorenzetti. Nel progettare il Museo, secondo la sua cifra stilistica che ricrea sale di ambientazione in cui si mescolano manufatti artistici eterogenei, egli crea un delicato equilibrio tra il museo moderno e la casa abitata, una sorta di “mostra-museo”. Erano passati pochi anni dalla grande esposizione del 1929 tenutasi ai Giardini della Biennale dedicata al Settecento italiano, diretta dallo stesso Barbantini, capace di riscuotere un grandissimo successo offrendo al pubblico uno spettacolare itinerario attraverso l’arte del secolo XVIII in particolare a Venezia, a cui naturalmente viene riservato un ruolo di primissimo rilievo. Il Settecento in quegli anni, siamo nel periodo che precede la Seconda Guerra mondiale, era il secolo dell’arte più amato dal pubblico, un pubblico molto sofisticato ed elitario, che si rispecchia anche per questo suo tratto compiutamente in quel secolo. Per citare Jean Starobinski, «È l’età del ferro che sogna l’età dell’oro».

Portico, Ca’ Rezzonico

La borghesia industriale, che con l’acciaio e le macchine ha acquisito grandi ricchezze, arreda le case e sogna di vivere come nel Settecento. Il secolo XVIII è inteso non solo come una felice stagione artistica, ma come una vera e propria “nuova” civiltà. Per Venezia è il secolo di Carlo Goldoni, di Casanova, della vita in villa, della villeggiatura, del palazzo veneziano, di Vivaldi, del teatro, del melodramma. In Francia è il secolo di Madame de Pompadour, di Luigi XV… Tutto parte da Parigi, tuttavia il Settecento francese e quello veneziano si muovono in parallelo, raggiungendo le medesime, alte vette. Questi ricchi industriali comprano anche materialmente il loro sogno, cercando di possedere tutto ciò che rimaneva a Venezia nell’Ottocento: vengono svuotati armadi e cantine, staccati affreschi che vanno ad abbellire le loro case. Come afferma sempre Starobinski, «Quei borghesi arricchiti che alla rivoluzione francese devono tutto, la odiano perché ha distrutto quel mondo che loro hanno sempre sognato». Volendo dare un punto di riferimento temporale come ideale chiusura della stagione di fascinazione per il Settecento veneziano, lo si fa coincidere con la memorabile festa, l’esclusivo Bal Oriental, che il 3 settembre 1951 portò tra gli altri in una sola notte a palazzo Labia a Venezia Salvador Dalì, Orson Welles, Winston Churchill, il tutto sotto il segno e la regia di Christian Dior. È un cerchio che si chiude: aperto con l’epoca di Napoleone III nella seconda metà dell’Ottocento e chiuso idealmente con quella festa a Venezia, che fa rivivere tanto nello stile – palazzo Labia era arredato in stile Settecento prima dell’asta dei suoi arredi – quanto nei modi – fontane che zampillavano vero vino, giocolieri, maschere – fattualmente questo sogno impossibile. Ca’ Rezzonico oggi intende far rivivere le atmosfere dorate e regalare al visitatore l’emozione unica del Settecento veneziano che questo Palazzo e la sua collezione restituiscono magnificamente.

Nell’intervento di restauro, che ora riporta Ca’ Rezzonico a rinnovata bellezza, avete lavorato in filigrana nel mantenere e conservare l’integrità del Palazzo. Tuttavia si è trattato di una serie di interventi molto importanti, spesso non immediatamente percepibili eppure sostanziali, che hanno riguardato in particolare tutto l’apparato dell’illuminazione e della sicurezza.
È stata in particolare la bravura dei miei colleghi architetti a permettere l’ottima riuscita di questo non semplice intervento di restauro. Sono stati infatti capaci di ridurre il meno possibile l’impatto della tecnologia sul contenitore. Proprio perché Ca’ Rezzonico è una ricostruzione d’ambiente, si è reso necessario per quanto possibile rendere meno evidenti le luci, limitare visivamente, pur all’interno delle norme, le lampade di emergenza e gli estintori, nascondere, o meglio, celare i climatizzatori, e così via… Se non si vede il lavoro svolto, allora significa che abbiamo lavorato bene. Intervenire in filigrana era quindi la parte più complicata del lavoro; non ci siamo riusciti dappertutto, però nel complesso possiamo dire di avercela fatta, sì. Va detto che le soluzioni tecnologiche di cui oggi disponiamo rispetto anche al più recente passato aiutano molto in questo tipo di interventi. Il settore dell’illuminazione ha compiuto passi da gigante in pochissimi anni, passando dalle energivore luci alogene, che scaldavano tantissimo e si rompevano periodicamente, ai led, che durano fino a dieci anni, con consumo energetico bassissimo. Led che inoltre possono essere posizionati in sicurezza vicino a ciò che si deve illuminare senza correre il pericolo che “tostino” il quadro o la stoffa, con tutte le conseguenze nefaste che ciò comporta. Da questo punto di vista Ca’ Rezzonico ora è diventato davvero un museo moderno. L’investimento è stato certamente notevole; tuttavia, sia sul fronte del risparmio energetico che su quello connesso del rispetto dell’ambiente, possiamo dire che il gioco è valso assolutamente la candela, anzi, il led!

Courtesy-of-Fondazione-Musei-Civici-di-Venezia. Photo Matteo De Fina

Altro elemento di novità di questo intervento di restauro, anch’esso significativo e questa volta visibile, è la riqualificazione del magnifico Portego passante del piano terra. L’intervento è stato declinato sul piano dell’accoglienza (ingresso, biglietteria, guardaroba, bookshop, caffetteria, didattica), rispettando i nuovi parametri di fruizione museale. Di fatto un’incredibile apertura alla città e uno spazio comune unico e funzionale.
Il piano terra era da tempo la parte più debole del Museo. Gli ultimi restauri erano ormai risalenti a molti anni fa, in più l’Acqua Granda del 2019 aveva fortemente compromesso diverse parti di esso, tanto da rendere necessario e davvero urgente l’intervento di restauro. La fruizione non risultava omogenea e uniforme per una serie di aggiustamenti successivi, non legati a un piano di sviluppo pianificato: prima l’inserimento della caffetteria, poi la biglietteria, poi ancora il recupero del bookshop… Il Portico non era stato pensato come uno spazio unico, coerente, né dal punto di vista della fruizione né dal punto di vista puramente allestitivo e cromatico. Dovendo intervenire anche sulla struttura, i colleghi architetti hanno studiato attentamente l’intervento, inserendolo coerentemente nella cifra architettonica dello spazio, in particolare ‘sfruttando’ i materiali del Portico, come la pietra d’Istria, andando ad armonizzare i diversi spazi che si aprono sul portico stesso e che si connotano per i servizi al pubblico, con un colore comune campionato dal famoso dipinto La Nobiltà e la Virtù abbattono l’Ignoranza (1744-1745) di Giambattista Tiepolo, l’azzurro polvere, che ha sostituito il colore di rappresentanza del Museo, dandogli una nuova e coerente identità. Sfruttando quella che è la peculiarità del Museo, cioè un Portico passante, il piano terra diviene ora uno spazio libero sia per i residenti che per i visitatori, i quali possono accedere direttamente dal Canal Grande attraversando il ponte in legno vicino all’imbarcadero per arrivare fino al bellissimo giardino. Si è creato così un nuovo spazio pubblico, una corte veneziana aperta. Nel portico si affacciano un bookshop e una libreria a disposizione di tutti, una caffetteria con tavolini interni ed esterni, uno spazio che racconta il Museo del Settecento per persone ipovedenti e uno spazio edutainment per bambini, oltre al guardaroba e alla biglietteria. Lo considero a ragione uno spazio pienamente recuperato per la città; lo era già in parte, ma non aveva quell’unità né quella valenza civica che possiede ora.

Fa una certa impressione pensare che negli anni Venti Cole Porter prendeva in affitto il palazzo per trascorrervi parte dell’estate…
A pensarci oggi sicuramente sì. Del resto la dimora ha avuto una sua storia, diciamo così, dagli esiti assai difformi. Questo palazzo si chiama Rezzonico, la famiglia lo acquista a metà del Settecento, ma nel giro di una generazione si estingue, precisamente nel 1810. Dall’autunno del 1847 al 1848 fu residenza di Carlo Maria Isidoro di Borbone-Spagna, protetto dal governo austriaco. Il palazzo viene ceduto più volte e svuotato dell’arredo dopo varie destinazioni. Si risolleva solo quando lo compra Robert Browning, che qui trascorre le estati del 1887 e 1888, morendovi nel dicembre 1889. Il palazzo diventa un luogo di riferimento, come Palazzo Barbaro, della colonia angloamericana a Venezia. Vi i soggiornerà, tra gli altri, anche Sargent. Nel 1906 Lionello Hierschel de Minerbi, figlio di un commerciante ebreo austriaco con attività a Trieste, all’epoca come è noto fiorente polo commerciale, acquista Ca’ Rezzonico da Robert Barrett Browning, figlio di Robert Browning, restaurando l’edificio e adattando la residenza al proprio gusto. È un personaggio novecentesco: campione di tennis, giocatore di calcio, deputato del Regno, grande proprietario fondiario. A Venezia, oltre a Ca’ Rezzonico, acquista Palazzo Grimani e Villa Foscari a Malcontenta. Il grande musicista Cole Porter vi abita, per l’appunto, dal 1926 al 1927. A causa di difficoltà economiche legate alla crisi del ‘29, Hierschel de Minerbi è costretto a vendere il palazzo; se la vede davvero brutta perché ha troppi debiti. Il palazzo viene pignorato dal credito fondiario, che lo mette all’asta per due volte, ma nessuno lo acquista perché va assolutamente restaurato, con relativi, ingenti costi. Alla fine il Comune di Venezia inizia nel 1931 a trattare l’acquisto, concretizzandolo solo nel 1935.

La riapertura al pubblico e ora, dopo poche settimane, la prima mostra dedicata al vetro.
Un omaggio a Lino Tagliapietra, il grande maestro vetraio che tutti conosciamo, un tributo che la Fondazione Musei Civici doverosamente gli dedica. Artista viaggiatore, sperimentatore, alla costante ricerca di stimoli da trasferire nelle sue opere, tra ricerca appassionata, perfezionamento tecnico e sublimazione della bellezza del vetro. Il suo modo di lavorare antitetico rispetto a certe soluzioni minimal che sono di moda oggi si sposa perfettamente con il Museo del Settecento Veneziano.

Courtesy-of-Fondazione-Musei-Civici-di-Venezia. Photo Andrea Avezzù

E poi ci sono i 350 anni dalla nascita di Rosalba Carriera.
Qui presentiamo probabilmente la parte meno nota dell’arte di Rosalba, che tutti conoscono come la grande pastellista, quando però il suo percorso espressivo ha inizio soprattutto con il ritratto in miniatura, il cui linguaggio sarà capace di rivoluzionare. Sfrutta infatti l’avorio, dimostrandone una sua nuova, straordinaria potenzialità. Non è lei probabilmente a inventare questa tecnica, ma la trasforma in arte vera e propria. E poi la miniatura diventa l’oggetto del desiderio del Grand tour, il ritratto che si può portare con sé, che si invia agli affetti, alla persona amata, una cosa molto rococò che si contempla in privato con la lente.

Torniamo al restauro. A partire dal 2024 il cantiere continuerà con il progetto di conservazione del soffitto affrescato del grande Salone da ballo. Un cantiere che sarà aperto nonostante la presenza del pubblico in visita. Che occasione può rappresentare per i visitatori questa soluzione che avete adottato?
Aperto perché il Museo non chiuderà, sì. Stiamo studiando soluzioni in sicurezza per renderlo anche visitabile, in particolare per offrire la possibilità di vedere gli affreschi da un altro punto di vista, quello ravvicinato e al contempo rovesciato, per far vedere anche come si lavora dal punto di vista tecnico durante gli interventi di restauro. Ogni volta che mi capita l’occasione di salire su una impalcatura e di poter quindi ammirare gli affreschi da vicino è immancabilmente una grandissima emozione. Il restauro interviene per risolvere un problema che c’è sempre stato, fin dalla ideazione stessa di questo meraviglioso soffitto. Massari decide di portare il Salone a doppia altezza, tirando giù un piano. Per fare ciò crea una grande struttura ingegneristica che lo tiene su. Tuttavia il tempo, i canali e le infiltrazioni hanno reso necessario intervenire sia dal punto di vista statico, sia dal punto di vista conservativo, vale a dire direttamente sull’affresco (ora sono visibili i punti più critici dell’intervento, coperti con carta di riso).

L’importanza del mecenatismo, perché da soli non si va da nessuna parte. Ci parli di chi vi ha sostenuto in questa difficile impresa.
Non possiamo che ringraziare vivamente Coop Alleanza 3.0, che facendo scegliere ai propri soci i diversi progetti da finanziare attraverso l’art bonus – e i soci hanno scelto Ca’ Rezzonico! –, ha reso possibile il recupero della zona compromessa dall’Acqua Granda. In modo virtuoso la Fondazione ha deciso di investire a sua volta e di restaurare anche gli altri piani, sfruttando efficacemente gli otto mesi di chiusura. Tuttavia senza Coop Alleanza non ci saremmo forse neanche mai avventurati in questo percorso di remise-en-forme.

Courtesy Fondazione Musei Civici

Un’ultima curiosità. Se lei dovesse dare un’indicazione su cinque cose imperdibili, gli highlights di Ca’ Rezzonico, a un visitatore non dico distratto, ma un po’ frettoloso, cosa consiglierebbe?
I due Canaletto, acquisto recente del Museo: non si trovano infatti a Venezia altre vedute del Maestro; certamente la Sala Longhi, con tutta un’umanità varia che ci osserva dalle pareti; Il Parlatorio delle monache di San Zaccaria di Guardi; i soffitti di Tiepolo. Poi, da un punto di vista strutturale-architettonico, invitare a comprendere naturalmente la genialità del Longhena, che rivoluziona il palazzo veneziano creando un’architettura di luce, come si legge ora chiaramente nel Portego del pian terreno.

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