In un percorso di ‘avvicinamento’ alla Cerimonia di premiazione del Premio Campiello, abbiamo voluto porre ai cinque autori finalisti della 61. edizione alcune domande. Risponde Tommaso Pincio, autore di Diario di un’estate marziana (Giulio Perrone editore).
Scrittore e pittore, vive e lavora a Roma. Ha pubblicato M. (Cronopio, 1999), Lo spazio sfinito (Fanucci, 2000; minimum fax, 2010), Un amore dell’altro mondo (Einaudi, 2002), La ragazza che non era lei (Einaudi, 2005), Cinacittà (Einaudi, 2008), Hotel a zero stelle (Laterza, 2011), Pulp Roma (il Saggiatore, 2012), Panorama (NN Editore, 2015), Scrissi d’arte (L’orma editore, 2015) e Il dono di saper vivere (Einaudi, 2018).
Ha tradotto autori quali Kerouac, Cheever, Dick, Fitzgerald, Updike, Orwell, Stoker.
Essere parte della cinquina finalista del Premio Campiello quale impatto ha sulla sua realtà di scrittore?
L’impatto di uno stordimento felice e grato, un incrociarsi di emozioni diverse. Ci si sente immeritevoli ma comunque accolti. Immeritevoli perché scrivere vuol dire scoprirsi ogni giorno più piccoli, inadeguati, pieni di limiti. Accolti perché i premi davvero importanti e con una precisa identità sono sempre espressione di una tradizione, di un’idea di mondo e comunità, uno di quei momenti in cui i libri escono dalla solitudine di una stanza per scendere in piazza.
Il Campiello peraltro esprime questa idea fin nel nome.
Quale la genesi del suo libro finalista?
È nato d’impulso e quasi per caso, pensando a una passeggiata sentimentale per strade di Roma in compagnia di Ennio Flaiano, che nella Capitale è arrivato dodicenne per restarci fino alla morte, tra alti e bassi, momenti di amore e disamore. È anche un libro che rievoca il Novecento con gli occhi del presente, il mondo di ieri visto con gli occhi di oggi, dunque un libro sul più grande dei misteri: il tempo.
Quanto proietta di se stesso nei personaggi che racconta?
Vengo dall’arte. Sono un pittore mancato che si è ritrovato a scrivere. Osservo i miei personaggi con la disposizione di chi si appresta a fare un ritratto, per cui non mi resta che rispondere come Leonardo: ogni dipintore dipinge sempre se stesso.
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