In concomitanza con la Biennale Musica, la giovane Fabrica del contemporaneo intercetta le attività antropiche che animano la città trasformandole in suono e luce.
La Biennale, come si sa, è un ineguagliabile epicentro globale dei linguaggi contemporanei dell’arte, praticamente di tutte le arti. Inutile dire che da qui, da Venezia, passano tutti, ma proprio tutti gli artefici delle nuove sperimentazioni artistiche internazionali. Di una città di cui troppo spesso si parla per le sue strutturali inadeguatezze, per la malgestione del suo corpo fragile, per l’indubitabile degrado che sempre più contraddistingue troppe sue espressioni vitali, sarebbe perciò delittuoso non sottolineare con persistenza e con sana fierezza la cifra unica, caleidoscopica di questo straordinario polmone culturale che tutto il mondo ci invidia. Insomma, se non ci fosse la Biennale, diciamoci la verità, Venezia sarebbe totalmente nei guai, senza se e senza ma. Ma siccome è giusto non accontentarsi mai, pena cullarsi su allori mai garantiti per sempre, vale la pena rilevare anche qualche tratto non totalmente soddisfacente di questo universo delle arti, o meglio, non tanto o non solo di esso, quanto di ciò che lo circonda, di chi è chiamato ad interagire con le sue infinite sollecitazioni. Se infatti le varie esposizioni, i vari festival, le innumerevoli attività della Biennale sono sempre come minimo di alto livello, le attività collaterali, di interazione con queste attività ed eventi, fatta eccezione per Arte ed Architettura, che la città riesce ad esprimere per completare ed arricchire anche territorialmente quest’offerta culturale di respiro internazionale è spesso deludente, se non addirittura il più delle volte assente. In particolare in occasione dei festival meno, per così dire, mediatici, eppure di straordinario rilievo contenutistico, ossia Danza, Musica e Teatro, raramente in città si accendono percorsi vivi e complementari, capaci di allargare in maniera dinamica il perimetro di azione di queste rassegne troppo spesso confinate ai soli addetti ai lavori. Piace perciò constatare che talvolta, viceversa, qualcuno sia capace finalmente di accendere una sua originale luce instaurando un dialogo a distanza, ma pur sempre ravvicinato, con questi festival apicali delle scene contemporanee.
È il caso questo ottobre del progetto messo in atto da uno dei più fertili laboratori dei linguaggi artistici contemporanei dalla parte dei più giovani, vale a dire Fabrica del gruppo Benetton, in occasione della 67. Biennale Musica. Si tratta della seconda parte del laboratorio eco-critico Venezia Fabrica Futura, il cui primo atto è andato in scena in occasione dell’apertura della 18. Biennale Architettura nell’atrio moderno del Complesso dell’Ospedaletto. Ora, in coincidenza per l’appunto della Biennale Musica, si inaugura il 13 ottobre nello stesso Complesso dell’Ospedaletto Listen, Venice…, una serie di esplorazioni soniche su Venezia e il suo complesso ecosistema, in collaborazione con Iuav e Sound Studies Hub (SSH!). Nello specifico, due sound-artist presenteranno le loro installazioni che assorbono e reinterpretano i paesaggi sonori veneziani. L’artista interdisciplinare giapponese di Fabrica Asuka Akagawa si immergerà nelle attività antropiche che animano la città trasformandole in suono e luce, mentre il sound-artist svizzero Ramon De Marco, già residente a Fabrica, presenterà un metodo di sensibilizzazione il cui fine è semplicemente quello di esaltare la bellezza e la diversità del fragile ecosistema veneziano.
Il programma prevede anche una serie di eventi, tra cui una tavola rotonda, conferenze e concerti di esperti internazionali delle sonorità contemporanee, tra cui Chris Watson, musicista e recordist inglese nonché storico componente dei Cabaret Voltaire, seminale gruppo sperimentale attivo tra la fine degli anni ’70 e i primi ’80, David Rothenberg, compositore, clarinettista jazz e filosofo americano, Jana Winderen, matematica e chimica norvegese, Francesco Bergamo e Nicola Di Croce, architetti e ricercatori di Iuav e Sound Studies Hub (SSH!). Insomma, un vero e proprio progetto collaterale off Biennale Musica curato dal program director di Fabrica Carlos Casas, artista catalano noto internazionalmente per i suoi progetti cinematografici sul terreno documentaristico in particolare, nonché per le sue installazioni sonore. Davvero una scommessa intrigante questa che Casas ha deciso di giocare nel cuore di Venezia con i suoi “fabricanti”, instaurando un vibrante dialogo con una Biennale mai così aperta come quest’anno ai suoni pulsanti dell’elettronica in tutte le sue declinazioni, capace di coinvolgere compositori, performer, dj un po’ da tutto il mondo, guardando finalmente anche alle scene di derivazione tecno quanto mai connotate dai linguaggi, direi ancor più fisicamente dai corpi in movimento urbano dei più giovani.
Immagine in evidenza: Photo Nicola Pianalto