Il 20 ottobre al Teatro Ca’ Foscari, nell’ambito della stagione Asteroide Amor, va in scena Frankenstein, uno spettacolo targato OHT | Office for a Human Theater, studio di ricerca del regista e curatore Filippo Andreatta che ha tra i temi privilegiati di riflessione il paesaggio, come già in Rompere il ghiaccio o in Curon/Graun o ancora in 19 luglio 1985. Una tragedia alpina, in cui la storia pubblica e le tante storie private vengono modellate dalla forza della Natura.
Con Frankenstein, OHT si confronta per la prima volta con la letteratura classica e il capostipite dell’horror fantascientifico, scegliendo di portare dentro lo spettacolo il contesto ambientale in cui è nato il libro di Mary Shelley – che Andreatta definisce «una delle prime esperienze estetiche veicolate dal cambiamento climatico»: nel 1815 l’eruzione del vulcano indonesiano Tambora, la più potente mai registrata dall’uomo, sollevò una immensa nuvola sulfurea che offuscò il sole, abbassò le temperature, provocò violenti temporali portando a quello che i climatologi hanno chiamato Anno senza estate. È in questa temperie che Shelley scrive Frankenstein, durante una vacanza sul lago di Ginevra funestata da brutto tempo, freddo e pioggia – la stessa pioggia battente che ritroviamo in scena quando la scintilla del fuoco fa ‘nascere’ la creatura.
E infatti non di mostro si parla, ché l’immagine del semi zombie con i bulloni sulla testa è molto lontana da quanto si trova nel libro, il cui cuore emozionale, neurologico, letterario sta nel processo di scoperta e apprendimento della creatura del linguaggio e del mondo.
La scena si svolge in uno spazio laboratoriale che è quello del dottor Frankenstein, immerso nella musica di Davide Tomat che lo trasforma da spazio di scienza a paesaggio alpino: gli strapiombi del Monte Bianco – punti precisi proiettati su una mappa – diventano intimi e personali vertigini nell’incontro tra creatore e creatura, le performer Silvia Costa e Stina Fors, che si distinguono in scena solo per l’uso di italiano e inglese mentre il resto è un’interpretazione fluida in cui i due ruoli si compenetrano – uomo che crea, uomo che distrugge. Frankenstein è un mito in cui i paesaggi esterni si mescolano a quelli interni, una potente riflessione sulle condizioni ambientali dell’ispirazione artistica e letteraria, uno spettacolo – come ci ha abituato Andreatta – dove nulla è superfluo e tutto è necessario.