Testimone chiave

Fernando Guzzoni con Blanquita porta il caso "Spiniak" sul grande schermo
di Chiara Sciascia
  • domenica, 4 settembre 2022

Unico regista cileno in Mostra, Fernando Guzzoni è in concorso in Orizzonti con Blanquita, una storia ispirata al controverso caso “Spiniak”, che nei primi anni 2000 ha portato alla luce una rete di prostituzione e pedofilia con a capo un potente uomo d’affari cileno.

Si tratta di uno dei casi più discussi e confusi della storia giudiziaria e giornalistica del Paese, che fece tremare l’intera classe politica. La protagonista della vicenda reale è Gema Bueno, quella che fu considerata la “testimone chiave”, Blanquita nel suo film. Cosa l’ha spinta a raccontare proprio questa storia?
Fondamentalmente perché sentivo che la storia ufficiale, lo Stato, la classe dirigente nel suo complesso avevano operato impunemente in questo caso, e in questa storia c’era una complessità più profonda che non volevano assolutamente far emergere. Mi intrigava particolarmente la figura di Gema, il modo in cui per il Paese è diventata un’eroina, ma con due pesi e due misure, mi ha affascinato il suo modo del tutto anticonvenzionale di condurre la propria battaglia e il fatto che non fosse una ‘semplice’ vittima. Infine, ritengo sia davvero importante fermarsi a riflettere sulla violenza strutturale delle istituzioni e sui pregiudizi di classe della giustizia.

BLANQUITA

Blanca è una ragazza madre di appena diciotto anni che vive con la figlia in una casa famiglia per minori nella periferia di Santiago. La struttura è gestita da Padre Manuel, figura attiva nella comunità che da oltre trent’anni combatte per i giovani contro il degrado soc...

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BLANQUITA

guzzoni_blanquita

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Verità e menzogna. Fiction e realtà. Come in Jesus, ispirato al drammatico caso Zamudio, in Blanquita, la danza tra realmente accaduto e finzione esercita un grande fascino. Laura Lopez interpreta Blanca, che a sua volta interpreta un ruolo all’interno della sua stessa storia. Una storia che spaccò in due i media e l’opinione pubblica, e che ora si riverbera nel film. Che risposta si aspetta – se ne immagina una – dal pubblico, in particolare quello cileno che non ha dimenticato questo scandalo?
Penso che il film porti alla luce argomenti molto controversi e attualissimi, cercando al tempo stesso di non dare giudizi categorici. Credo infatti che l’aspetto più interessante del film sia il modo in cui dimostra apertamente che le cose non sono mai solo bianche o solo nere. Spero che il mio lavoro possa stimolare discussioni e riflessioni sulla violenza di classe, sul potere, sullo status della verità e su come la nostra società ‘costruisca’ soggetti che non possono realmente aver accesso alla giustizia.

Lei è l’unico regista cileno in Mostra, fa parte della una nuova generazioni di registi del “boom” del cinema cileno: da Pablo Larraín a Niles Atallah, una pluralità di sguardi e visioni ha conquistato rapidamente la platea internazionale, anche dei festival più prestigiosi. Cosa pensa dello stato del cinema nel suo Paese? Cosa è stato fatto e cosa sarebbe ancora necessario da fare?
Sono felice di far parte di una generazione che conta tanti registi e tanti sguardi diversi. Penso che il cinema cileno sia diventato un grande polo di esplorazione cinematografica in America Latina. La strada da percorrere è quella di continuare a fare film, e soprattutto ottenere migliori condizioni e risorse per diventare un’industria cinematografica che permetta l’emergere di voci sempre più diverse.