Sogni e miraggi

di Andrea Zennaro
  • lunedì, 5 settembre 2022

Regista e sceneggiatore rumeno, Mihai Mincan (1980) presenta in Orizzonti il suo lungometraggio Spre Nord, un thriller psicologico ispirato ad una storia vera.

Il sogno americano che esisteva, negli anni 90, nella mente dei più poveri e oppressi è ancora vivo?
Penso di no. Per quanti decidono di trasferirsi all’estero e trovare lavoro, oggi è tutto più organizzato e anche più rigido. Ti trasferisci in un posto, stai un po’ di tempo, e guadagni la tal cifra. Negli anni Novanta funzionava in modo diverso. C’è una scena nel film in cui i due clandestini guardano foto degli Stati Uniti e immaginano come sarà la loro vita quando vi arriveranno. Sono immagini molto simili ai miei ricordi di com’era in Romania un tempo. Per i giovani, gli Stati Uniti non sono solo un luogo dove andare a far soldi ma un’idea, una fantasia, immagine pura perlopiù derivante dai film e dalla cultura pop. Hamburger, Coca-Cola, vestiti, musica, libertà. Il sogno è finito con la globalizzazione, che oggi è dappertutto. È impossibile che quella fantasia esista ancora quando ogni luogo del mondo è simile a qualunque altro.

La nave porta container ha al suo interno un microcosmo di umanità che è uno specchio della società contemporanea con le sue contraddittorie politiche di integrazione e di immigrazione: quanto la solidarietà e la carità umana delle singole persone può aiutare in questi macro processi?
La solidarietà e l’empatia sono fondamentali in ogni tipo di rapporto umano, non solo per immigrazione e integrazione. È come dire: se hai sete, bevi. Penso che, alla fine, quanto separa i personaggi in Spre Nord non è mancanza di comprensione o empatia per l’altro ma la paura della povertà. In un certo senso, sono tutti migranti, tutti si trovano distante da casa loro e tutti cercano una vita migliore. La differenza è che qualcuno di loro ha una casa cui tornare e altri no. E non è questa una definizione di povertà? Per quanto riguarda la politica, questa ci ha abituato a guardare alla povertà come idea astratta e a ignorare l’aspetto umano, il grado effettivo. Diciamo che è povero uno che non può permettersi un’abitazione migliore ma anche uno che sta morendo di fame dall’altra parte del mondo. Ed è qui che penso che solidarietà e compassione abbiano un ruolo. Dobbiamo imparare a parlare di noi stessi come individui, non come numeri, ricchezza, e nazionalità, ma come esseri umani con dei bisogni.

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Ispirato a fatti realmente accaduti, questo thriller psicologico di Mincan segue la vicenda di Dimitru, un giovane rumeno imbarcato clandestinamente su una nave cargo per attraversare l’Oceano Atlantico. Con sé porta una Bibbia che gli salverà la vita quando verrà scopert...

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Quali sono i registi romeni ed internazionali ai quali più si ispira quando scrive e dirige un film?
Quando scrivo non mi ispiro quasi mai al cinema. Le mie idee arrivano dalla musica, da romanzi, dalla poesia. Come regista rumeno, l’opera di Cristi Puiu ha un grande significato, specialmente i suoi primi film, la loro crudezza, la loro sfrontatezza che mi faceva pensare: questo voglio farlo anche io. Penso che sia molto importante per un regista ispirare questi sentimenti nei giovani appassionati di cinema. Fare film non è qualcosa di solo tecnico, di solo astratto, ma qualcosa che chiunque abbia passione può fare. Per quanto riguarda registi esteri, mi piacciono molto Yasujirō Ozu e Robert Bresson, di cui ho guardato i film da ragazzo. Mi sento molto vicino anche ai primi film di Scorsese e Cassavetes. Negli ultimi anni mi sono sentito molto ispirato dal cinema dell’estremo oriente, specialmente Hirokazu Koreeda, Kiyoshi Kurosawa, Jia Zhangke e dai registi della new wave taiwanese.