Dieci anni fa, nella notte tra il 29 e il 30 ottobre 2012, Jallal Hami, giovane sottotenente della scuola militare Saint-Cyr Coëtquidan, è morto durante un cosiddetto esercizio di “trasmissione delle tradizioni”, una formula per designare il bahutage, in altre parole il nonnismo, teoricamente vietato nelle scuole dell’élite militare francese. Jallal Hami è morto all’età di 24 anni e la Francia ha perso uno dei giovani più brillanti della sua generazione. Suo fratello maggiore, Rachid Hami, già regista del film La Mélodie, presentato alla Mostra di Venezia nel 2019, racconta la sua storia oggi in Pour la France. Lo abbiamo incontrato insieme all’attore protagonista Karim Leklou.
Cosa l’ha spinta a realizzare questo film dieci anni dopo l’accaduto? Ha voluto aspettare la fine del processo o semplicemente si è dato il tempo di maturare il giusto sguardo su questa storia?
Rachid Hami_Ho iniziato a scrivere il film nel 2013. Essendo una storia personale, volevo trovare il tono giusto e fare un film che non fosse così esclusivamente condizionato dal mio portato esistenziale. Desideravo costruire un vero e proprio oggetto cinematografico, che pur raccontando una storia vera, politica e sociale, fosse innanzitutto un’opera di finzione. Anche il processo non ha condizionato il modo in cui volevo raccontare questa storia; ha solo liberato uno spazio nella mia mente: non ci dovevo più pensare. Non si tratta, quindi, in nessun modo di un film processuale; non ho cercato di fare giustizia attraverso l’utilizzo di una telecamera. È semplicemente un film che racconta chi era Jallal Hami attraverso lo sguardo del suo fratello maggiore, Ismaël.
Ho cercato di raccontare la continuità del suo percorso, dalla sua infanzia in Algeria alla periferia di Parigi, dalla Scuola Sciences-Po Paris a una delle più grandi scuole militari di Taiwan fino a Saint Cyr, lì dove infine ha perso la vita. È un destino, un destino tragico, ma che al contempo nella società in cui viviamo dimostra che l’immagine che tanta gente si fa delle persone disagiate o emarginate non è necessariamente corretta. Come molte persone che vivono nelle periferie delle grandi città francesi o in campagna, Jallal ha molto e ben studiato, rappresentando una forza positiva, un’espressione simbolica della qualità della cultura repubblicana. Di contrasto la sua morte rappresenta la sconfitta della nostra società, un sistema sempre più in difficoltà nell’offrire le giuste opportunità di crescita a troppi suoi giovani.
La sceneggiatura – scritta dallo stesso Rachid Hami in collaborazione con Olliver Pourriol – si basa su un fatto tragico che ha segnato la vita del regista nel 2012. Il ventitreenne Aïssa Saïdi è un giovane ufficiale di polizia quando rimane ucciso durante un rito di in...
Karim Leklou, lei interpreta Ismaël, il fratello maggiore. È stato, immaginiamo, un esercizio di straordinaria responsabilità assumere questo ruolo di fronte a colui il quale ha vissuto drammaticamente questa storia in prima persona.
Karim Leklou_Quello che mi è piaciuto molto con Rachid è che siamo sempre rimasti sul terreno della finzione. Non sentivo alcun peso né alcuna responsabilità particolari. Abbiamo parlato solo di cinema: di inquadrature, di movimento, di tecnica. È un regista appassionato e appassionante che non voleva limitarsi a realizzare un mero film sociale, quindi ad altissimo rischio retorico, ma piuttosto offrire al pubblico una vera e propria odissea: un film che contiene naturalmente un fondo sociale, ma che è anche un’avventura che si dipana in tre diversi continenti, allargando così in maniera estesa le prospettive della narrazione. È raro nel cinema vedere un film sulle classi sociali disagiate che non sia solo sociale. Ed è precisamente ciò che apprezzo molto di questo film: il pudore di Rachid e la sua capacità di andare oltre il dato cronachistico, personale, per mostrare qualcosa di nuovo e di positivo.
RH_Bisogna ricordare che anche se il film è basato su fatti realmente accaduti, io innanzitutto faccio il regista. Quindi cerco di trasformare una storia personale in un oggetto di finzione. Ci metto ovviamente qualcosa di intimamente mio, soprattutto nel modo in cui lavoro sulle sequenze o sull’unità che voglio dare al film mentre si sviluppa su tre continenti e tre periodi diversi, dunque sul modo artigianale di fare cinema.
È la seconda volta che presenta un film a Venezia dopo La Mélodie nel 2019, che ha realizzato mentre stava già scrivendo Pour la France.
RH_Ho lavorato a La Mélodie mentre scrivevo Pour la France per seguire il mio desiderio, dandogli una sua continuità, di dare voce a una maggioranza silenziosa. Da una parte i ragazzi delle circa 400 classi partecipanti al progetto della Philarmonie di Parigi (di cui una è protagonista di La Mélodie) e dall’altra il giovane ufficiale Aïssa morto a Saint-Cyr: tutti a loro modo offrono una propria, diversa visione di ciò che sono oggi i quartieri popolari, entità, non dimentichiamocelo mai, in cui passano la loro esistenza milioni e milioni di persone. Considero che sia questo il mio lavoro oggi: dare uno sguardo moderno sulla società di oggi.