Uniti per la libertà di opporsi

Venezia 79. presenta un panel internazionale e un flash-mob sul red carpet per sensibilizzare sul tema della libertà di espressione
di Shanna Beggio
  • sabato, 10 settembre 2022

Il suo ultimo film, No Bears, concorre per il Leone d’Oro, ma l’assenza di Jafar Panahi alla Mostra del Cinema accende il dibattito sui cineasti perseguitati dai regimi.

Al centro del panel Cineasti sotto attacco: fare il punto, agire del 3 settembre nella Sala Conferenze del Palazzo del Casinò un report sulla tragica condizione di molti cineasti contemporanei, privati della propria libertà espressiva, con attenzione rivolta soprattutto ai contesti iraniano e turco. Un panel che ha fatto da apripista al flash-mob di ieri pomeriggio (venerdì 9 settembre, ore 16.30), in occasione del red carpet di Kehrs Nist (No Bears, Iran, 107’), ultimo lavoro di Jafar Panahi. Scelta non casuale, ovviamente, visto che proprio il regista iraniano non potrà essere fisicamente presente alla prima del suo film in Concorso a seguito dell’incarcerazione cui è sottoposto dal luglio scorso, dopo essersi fermamente opposto alla reclusione dei colleghi Mohammad Rasoulof e Mostafa Aleahmad. L’accusa mossa loro dal governo iraniano è stata quella di aver supportato i moti popolari sorti in opposizione alle misure violente messe in atto dallo Stato teocratico nei confronti dei propri cittadini.
Come affermato dallo stesso Presidente Roberto Cicutto, la Biennale, in quanto istituzione che si occupa di cultura a livelli trasversali, sente il dovere di dare nel suo specifico culturale delle risposte ai picchi di repressione nel mondo, come testimoniato dalla sensibilità alle tematiche della censura e della mancata libertà d’espressione dimostrata nell’agosto 2021 in concomitanza della nuova salita al potere dei talebani in Afghanistan. Anche in quell’occasione venne organizzato un panel per discutere sulla condizione dei cineasti residenti nel Paese. Dall’intervento dell’ospite di quest’anno Orwa Nyrabia, Direttore dell’International Documentary Film Festival di Amsterdam, si evince come nel 2021 proprio l’azione coordinata di gruppi di cineasti provenienti da tutto il mondo, con il supporto di varie organizzazioni no-profit, abbia permesso di ricollocare in altri Paesi il 60% dei cineasti afghani con le rispettive famiglie. Tale intervento ha dimostrato quanto il concreto sostegno globale nato da una decisione condivisa possa fare la differenza anche quando, come in questo caso, non vi è un effettivo aiuto economico. Purtroppo, però, aggiunge Nyrabia, bisogna riconoscere come, pochi mesi più tardi, la mobilitazione generale si sia rivelata effimera e circoscritta, con l’esaurirsi della grande onda mediatica generata dal colpo di Stato dei talebani. Un dato che fa riflettere circa il rischio di far cadere velocemente nel dimenticatoio queste situazioni drammatiche irrisolte solo perché non occupano più prepotentemente la prima pagina dei giornali di cronaca.

Nel corso del panel ha preso la parola anche Vanja Kaluđerčić, Direttrice dell’International Film Festival di Rotterdam, per ribadire quanto sia necessario, oggi più che mai, che la comunità internazionale protegga la libertà d’espressione di ciascun cittadino, naturalmente tenendo ben presente la drammatica situazione che si sta vivendo in questi giorni in Ucraina. Le donazioni, pubbliche e private sono aumentate notevolmente nell’ultimo periodo, a riprova della crescente sensibilità al tema della libertà d’espressione, ma non tanto da permettere di far fronte alle innumerevoli richieste di aiuto.
L’intera discussione è stata poi arricchita dalla testimonianza di un cineasta iraniano, che ha permesso di addentrarsi nelle ombre della vicenda di Rasoulof e Aleahmad. La notizia riguardante la cattura dei due uomini ha infatti raggiunto la popolazione quando le forze dell’ordine si trovavano ancora presso le loro abitazioni. La conclusione spontanea, prosegue il cineasta, è che si sia trattato di un piano premeditato, messo in atto dal governo per attaccare la produzione cinematografica iraniana. Nella vicenda c’è stata però anche una nota positiva: era prevista un’incarcerazione su più ampia scala, ma il governo centrale ha deciso di annullare l’operazione in risposta alla grande mobilitazione internazionale che si è registrata dopo l’arresto dei due registi.
Un’altra testimonianza è arrivata poi dalla Turchia, attraverso la voce della regista Sinem Sakaoglu in merito all’arresto e alla conseguente condanna a diciotto anni di prigione della collega Cigdem Mater, che aveva sconvolto l’intera comunità internazionale. L’accusa a suo carico è di aver pensato – e, va sottolineato, ‘solo’ pensato – di produrre un documentario riguardante i moti popolari che hanno gettato nel caos Istanbul nel 2013. Non è la prima volta che il governo turco si serve di questo modus operandi, confermando la volontà di stroncare sul nascere ogni barlume di pensiero critico.
Il supporto internazionale a questi e a i molti (troppi) altri registi, cineasti e artisti arrestati o imprigionati nell’ultimo anno potrà essere manifestato nel corso del flash-mob di questo pomeriggio. Come ricordato da Mike Downey, Presidente della European Film Academy, se la comunità globale vuole agire più efficientemente è fondamentale abbandonare in parte la reattività per abbracciare maggiormente la proattività.

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