Non serve a nulla lo sviluppo se a farvi da apripista non c’è un concomitante progresso, con tutto il rifiorire sociale e intellettuale che esso comporta. È una faccenda spinosa che non sembra trovare il giusto equilibrio neppure oggi, a vent’anni e più di distanza dall’inizio del nuovo millennio. Non a caso un film novecentesco come Duli Shidai (A Confucian Confusion) di Edward Yang continua a preservare un certo portato ideologico. La storia è un “aneddoto” circoscritto delle vicissitudini di alcuni abitanti taiwanesi che si trovano ad affrontare le degenerazioni prodotte da una crisi – un fallimento coniugale, una separazione, un grattacapo legale, una crisi d’impresa. È attraverso questo microcosmo sociale che il regista, esponente di spicco della “nouvelle vague taiwanese”, suggeriva una riflessione culturale ai suoi concittadini e agli spettatori. Questo film, coronato col Taipei Golden Horse Award per la migliore sceneggiatura originale, è una panoramica sul rapporto convulso tra individuo e metropoli, sul disagio postmoderno di chi è nebulizzato dallo stesso contesto babelico di cui è parte.
La cultura metropolitana di Taipei trova il suo cantore nel cinema stiloso e raffinato di Edward Yang.
...