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Ryuichi Sakamoto

a cura diF.D.S.
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  • martedì, 5 settembre 2023

La discografia di Sakamoto è sconfinata, rispettosa della suddivisione della sua lunga carriera in fasi della vita e capacità di esprimere il suo enorme talento musicale nelle forme e nei contesti sonori più disparati: la giovinezza tra gli anni ‘70 e ’80 con gli Yellow Magic Orchestra, gruppo giapponese che coi Kraftwerk si contende il titolo di padrini della musica elettronica, una carriera solista che l’ha visto navigare tra pop sofisticato, ambient e una world music urbana, la militanza nel mondo delle colonne sonore, con alcune delle quali (Furyo, di Nagisa Oshima) conquistò la fama mondiale, e nel 1987 l’Oscar (con L’ultimo imperatore di Bertolucci, insieme a David Byrne). 
Stiamo parlando di un musicista che negli anni di piena attività era capace di rilasciare almeno quattro, cinque dischi all’anno, in ossequio ad una vocazione innata di focalizzazione degli obiettivi ma anche di una onnivora curiosità e spinta al cambiamento. Che però si esprimevano attraverso approcci in cui il suono era sempre commisurato ad uno spazio, in una dimensione reciproca e sempre in tensione tra suono ed ambiente.

RYŪICHI SAKAMOTO | OPUS

Ryūichi Sakamoto è stato uno dei compositori più significativi del ventesimo secolo, artista dagli interessi trasversali e dalla curiosità onnivora che trovò ottimo ambito di espressione nella realizzazione di leggendarie composizioni per il cinema, come quelle nate dal s...

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RYŪICHI SAKAMOTO | OPUS

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Ryūichi Sakamoto è stato uno dei compositori più significativi del ventesimo secolo, artista dagli interessi trasversali e dalla curiosità onnivora che trovò ottimo ambito di espressione nella realizzazione di leggendarie ...

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C’è nella musica di Sakamoto una gentilezza, un fondo di sottile umorismo, un tentativo di acchiappare la bellezza attraverso l’equilibrio della forma, mai attraverso la sua deformazione. È una musica che non si sforza mai, anche se è sempre in equilibrio, sempre in bilico tra melodia e dolce rumore, tra Oriente e Occidente, tra suono acustico e suono digitale. Evitiamo per favore di trasformare Ryuichi Sakamoto in una specie di santino new age, il cui eclettismo ingoia e assorbe ogni differenza, tutto dentro la bellezza angelicata della sua musica. Fin dall’inizio, dai tempi della Yellow Magic Orchestra, Sakamoto ha svolto un ruolo di innovatore, di artista totalmente riluttante all’ortodossia. E lo ha svolto alla sua maniera, non solo nella musica ma anche come attivista ambientale contro il nucleare. E il suo ultimo gesto pubblico è stata proprio nel marzo 2023 una lettera al governatore di Tokyo contro la decisione di eliminare degli alberi in un quartiere di Tokyo. Dolce e inesorabile fino alla fine.

Ryuichi's six
Nice Age (con gli Yellow Magic Orchestra)
(1980)

Disco impagabile nella sua vocazione a testimoniare l’artificialità non solo del suono di allora, ma dell’esistenza umana. Ho sempre coltivato una piccola ossessione: che Guy Debord lo conoscesse e ogni tanto lo mettesse sul piatto…

Riot in Lagos (B-2 Unit)
(1980)

Nel suo secondo album da solista, Sakamoto crea un pezzo seminale, come si suol dire, pietra angolare dell’evoluzione dell’hip-hop e della musica elettronica degli anni ‘80 (chiedere ad Aphex Twin…)

Il tè nel deserto
(1990)
di Bernardo Bertolucci

Per pudore non parliamo di soundtrack per il film Furyo di Oshima, che nel 1983 portò Sakamoto alla riconoscenza del mondo. Ma è un capolavoro anche il tema di questo film, tutto giocato sul velluto degli archi che accarezzano la lenta inesorabile deriva del film nel cuore dell’Africa.

Amore (da Beauty)
(1990)

La world music di Sakamoto è semplice e sofisticata ad un tempo; innova con leggerezza, sempre oltre la moda, sempre al di qua del mainstream.

In the Lobby
(2001)

Dolce minimalismo acustico ci ha regalato la ricorrente collaborazione di Sakamoto con i coniugi Paula e Jacques Morelenbaum, musicisti brasiliani a lungo nel gruppo di Antonio Carlos Jobim.

fullmoon (da async)
(2017)

«Quante altre volte guarderai sorgere la luna piena?». Le parole con cui finiva Il tè nel deserto trent’anni dopo vengono riprese nel disco realizzato dopo l’inizio della malattia; un impavido riassunto della sua vita sonora.

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