Sul frinire

Nel cuore della Sardegna con il corto di Francesco Piras
di Fabio Marzari
  • venerdì, 8 settembre 2023

Il cagliaritano Francesco Piras (1978) è regista, direttore della fotografia e fotografo. Dirige la fotografia di numerosi cortometraggi, documentari e film, tra cui Bentu di Salvatore Mereu, in concorso alle Giornate degli Autori 2022. Nel 2018 dirige il cortometraggio Il Nostro Concerto, che riceve riconoscimenti nazionali e internazionali, primo tra i quali la nomination ai David di Donatello nel 2019. Nel 2021 scrive e dirige il cortometraggio Mammarranca, in selezione ufficiale ai Nastri d’Argento 2023 e vincitore del premio Rai Cinema Channel. Tilipirche, il suo cortometraggio più recente, ha la sua anteprima mondiale alla SIC@SIC – Settimana Internazionale della Critica di Venezia 2023.

Il racconto del suo lavoro.
Tilipirche in sardo significa “cavallette”. Il film è la storia di un uomo, ma è anche un racconto corale di una piccola comunità dell’entroterra della Sardegna con meno di trecento abitanti, Noragugume, in provincia di Nuoro, che improvvisamente si trova ad affrontare il flagello di un’invasione di cavallette voracissime. Zagu, il protagonista, è un allevatore di ovini e porta avanti l’attività con il figlio Antonio. Le cavallette divorano completamente il pascolo tanto da mettere in serio pericolo la sopravvivenza degli animali e della comunità stessa. L’invasione delle cavallette è in questo caso un problema gigantesco che fa emergere le difficoltà di questi tempi: il rapporto con la Natura e il rapporto tra le generazioni (padre e figlio). Questa catastrofe è un detonatore che fa emergere tutte le complessità del nostro vissuto. Questo in estrema sintesi lo spunto narrativo. Quando si ebbe la notizia di questa invasione, che ricordava drammaticamente una delle piaghe bibliche, decisi di andare di persona a verificare l’accaduto. Mi sono recato in quei territori senza avere una sceneggiatura; ho portato con me una macchina da presa, un aiuto operatore e quello che sapevo già allora sarebbe stato il protagonista di questo lavoro: Giuseppe Ungari, un attore non professionista che aveva già avuto una parte nel precedente corto Mammaranca. Sbagliavo a pensare che il problema riguardasse principalmente gli agricoltori; una volta a Noragugume mi sono ritrovato al cospetto di un’intera comunità in ginocchio e la storia si è scritta praticamente da sé. I primi quattro giorni ho girato nel pieno dell’invasione delle cavallette; mi sono ritrovato a stretto contatto con la comunità e lì si sono dipanati i fili di questa la storia: il rapporto padre-figlio, l’ovile, la relazione con la comunità e le difficoltà come allevatore. Dopo aver girato la prima sessione, ho scritto la sceneggiatura vera e propria, anche se l’assetto produttivo non è mutato. Volutamente la troupe non si è ingrandita, scegliendo di rimanere un elemento quasi invisibile, per poterci inserire meglio nelle trame sottili di questa micro-comunità, che è più corretto definire un’unica famiglia. Non si può entrare in un simile contesto con le regole classiche del cinema; tutto doveva mantenersi in una cornice assolutamente reale. Ci incontravamo al bar del paese e davanti ad una birra, raccontando la storia, si assegnavano i ruoli e poi si provavano le parti, riscontrando un’attenzione e una precisone da parte dei soggetti coinvolti da consumati attori. Il corto ha la caratteristica di essere quasi un documentario: ciascuno esegue la rispettiva parte interpretando una verità che con tutta probabilità è un derivato di una realtà vissuta in prima persona. La partecipazione di questa comunità è stata straordinaria, al punto da diventare essa stessa parte integrante nella scrittura e nel conseguente processo realizzativo. Il film è interpretato in lingua sarda nella particolare variante di Noragugume.

TILIPIRCHE

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Determinante il rapporto con la Natura.
Nel rapporto con la Natura di questa comunità tutto ciò che è derivato dalle soluzioni offerte dallo Stato, dalla politica e dalle moderne conoscenze si è rivelato spesso illusorio e fragile, perché non nasce dalla conoscenza e dall’appartenenza a quella vita. Si parla di indennizzi, che non servono agli abitanti per poter vivere più sereni, ma per poter comprare il mangime per gli animali e tenerli in vita. Le scelte sbagliate compiute nel passato, con un processo di industrializzazione gigantesco che ha avuto il solo effetto illusorio dell’abbandono delle campagne, hanno determinato, una volta che le fabbriche hanno chiuso i battenti, il verticale crollo delle comunità. Anche in Tilipirche ad un certo punto si prospetta la possibilità per il figlio Antonio di percorrere una strada diversa da quella del padre. E Zagu si ritrova di fronte a questo grande problema, ossia che tutto quello che hai in quei posti, il tuo vero patrimonio, è rappresentato dal terreno e dagli animali.

 

Cosa significa essere un regista sardo oggi?
La Sardegna è un continente, sia dal punto di vista territoriale sia dal punto di vista culturale. Per un cagliaritano come me andare a girare a Noragugume è come andare a girare nelle Filippine; in quel territorio ho trovato una realtà completamente diversa da quella che io conosco. C’è da una parte una forma di appartenenza al territorio, dall’altra il desiderio spontaneo di raccontare delle storie che in qualche modo hanno bisogno anche di uno sguardo terzo, perché sono ricchissime di storia, di tradizione. In paesi come Noragugume il rapporto con la Natura è assolutizzante. Indagando la storia del paese ho scoperto che nel 1950 era stato rappresentato un ex voto in argento con l’immagine di una cavalletta. Ogni anno questa cavalletta viene attaccata alle vesti della Madonna per la processione nelle vie del paese, la loro più importante festa religiosa, in cui viene chiesta la protezione mariana per salvare gli abitanti dalla piaga delle locuste. La domanda da farsi è un’altra, per ora senza risposte: queste comunità si rapportano quotidianamente con i problemi della Natura, noi che veniamo dalla città come reagiremmo di fronte a un problema come questo? Con quali strumenti? Abbiamo forse costruito una visione romantica di questi piccoli borghi, dove in realtà la modernità ha inciso nel profondo, minando le basi identitarie di queste comunità.

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