El dia de mi suerte

Enrico Maria Artale in Orizzonti con la sua opera seconda
di Redazione VeNews
  • domenica, 3 settembre 2023

Romano classe, 1984, Enrico Maria Artale ha debuttato a Venezia nel 2013 con Il terzo tempo, Premio Pasinetti Opera Prima. Torna in Orizzonti con El Paraíso, dramma di un intenso rapporto madre e figlio permeato di un’oscurità interiore, ma immerso nel colore.

Da quali urgenze espressive e personali nasce El Paraíso?
Tutto si inserisce in un percorso biografico e artistico iniziato diversi anni fa, durante il lavoro di montaggio del mio documentario Saro, film in prima persona che racconta del primo ed unico incontro con mio padre, quando avevo venticinque anni. Durante il processo di rielaborazione degli eventi mi sono accorto che stavo approfondendo la comprensione della relazione con mia madre più di quanto non avessi mai fatto prima. Questa scoperta ha generato un sentimento di amore rinnovato talmente forte da entrare nel film che intanto avevo iniziato a scrivere, fino a diventarne il cuore.

EL PARAÍSO

EL PARAÍSO

Julio ha quasi quarant’anni e vive ancora con la madre in una casa vicino al fiume nella zona marittima di Fiumicino, dintorni di Roma. La madre, donna forte e determinata, dovette lasciare la Colombia da ragazza, quando rimase incinta del figlio. La loro relazione è comple...

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Un film in cui le ambientazioni assumono importanza particolare…
Ho chiesto alla mia scenografa di progettare e ristrutturare una casa esistente come se fossimo in un teatro di posa, per permetterci tutti i movimenti che avevo immaginato. L’oscurità interiore di cui è permeato il racconto rimane in dialogo costante con uno scenario in netto contrasto: un angolo di Sudamerica immaginario, variopinto. Tutto partecipa alla descrizione di un mondo emotivo ricco, animato da quella vivacità dolente che avevo imparato un po’ a conoscere attraverso i romanzi di Gabriel García Márquez.

Come si è articolata la scelta degli attori?
L’identità composta tra una romanità dolente e una vitalità colombiana ha guidato la mia ricerca. Nessuno dei quattro protagonisti parlava l’altra lingua (l’italiano o lo spagnolo, a seconda dei casi), ognuno ha dovuto trovare la propria maniera di esprimersi, il proprio grado di ibridazione perché io potessi giocare anche attraverso le incomprensioni, senza perdere una fluidità generale.

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