Il primo corsivo di Michele Serra è del 1992. Un corsivo non è un articolo, non ne ha la lunghezza né l’oggettività del racconto, il corsivo è un breve pezzo d’opinione. Sono quindi trent’anni giusti che, ogni giorno, Serra racconta le sue opinioni sul giornale «L’Unità» prima, «Repubblica» poi. È più un potere o più una condanna? Un esercizio di stile o l’esibizione di un Io straripante?La potenza di tutto questo scritto arriva fisicamente in scena, con Serra che spinge un carrello con sopra tutti i 9.000 corsivi stampati («avete di fronte un uomo che ha avuto 9.000 opinioni!», proclama dal palco), ricordando però, allo stesso tempo, l’importanza del silenzio: lo fa guardando negli occhi la sua surreale compagna di scena, una mucca di plastica, ragionando sul fatto che forse è giusto invidiare le bestie, che per provare la loro esistenza non sono obbligate a parlare.Proprio le parole, con le loro seduzioni e le loro trappole, e anche la fatica che si fa a sceglierle, sono le protagoniste di questo racconto teatrale comico e sentimentale, impudico e coinvolgente che prende le mosse dal nucleo narrativo del libro La sinistra e altre parole strane (Feltrinelli, 2018), nel quale Serra apre al lettore la sua bottega di “artigiano della scrittura” e mostra il suo lavoro e gli attrezzi che usa, come farebbe un falegname. Persone e argomenti trattati nel corso degli anni riemergono dalla grande pila delle parole scritte con intatta vitalità e qualche inevitabile sorpresa, tracciando sentimenti, temi caldi, debolezze e manie.