Arriva sul palco del Toniolo Moby Dick alla prova, spettacolo di Elio De Capitani che ha debuttato due anni fa, a teatri appena riaperti, portando per la prima volta in Italia un testo che Orson Welles scrisse (e diresse e interpretò) nel 1955 compiendo un’operazione magistrale, cioè condensare la forza dirompente del romanzo di Melville in poche pagine di copione altrettanto potenti, per di più inglobando nel testo la passione di Melville – e anche la sua – per Shakespeare, attraverso la riduzione del romanzo in versi sciolti, il blank verse tanto caro al Bardo, che proiettano il linguaggio verso l’alto restituendo con forza d’immagini la prosa del romanzo. Un testo su cui Welles lavorò a lungo, con una attenzione maniacale al ritmo narrativo e musicale, e che nella versione italiana è stato tradotto dalla poetessa Cristina Viti.
Moby Dick alla prova porta in scena una compagnia di attori che di giorno prova Moby Dick e di sera è impegnata nelle repliche del Re Lear. I due testi si rispecchiano e intrecciano, Welles getta un ponte tra le due opere in cui l’ostinazione del re shakespeariano, che solo alla fine comprende l’errore, si rispecchia in quella incrollabile, anche nell’ultimo istante, di Achab. La scena prende vita davanti a un fondale enorme, eppure leggero, cangiante e mutevole, capace di evocare l’immensità del mare e la presenza incombente del capodoglio (che alla fine entrerà in scena: (im)possibile sfida teatrale vinta grazie un trucco scenico che non vogliamo svelare).
Sul palco tutto è dark, freddo: via il legno (ché se stiamo parlando di una nave dell’Ottocento ce lo immaginiamo un po’ tutti) e spazio invece a una macchina scenica di acciaio, non solo rimando al delirio febbrile della rivoluzione industriale ma anche cassa sonora su cui vibranti sea shanties – i canti marinareschi che accompagnavano il lavoro – battono il loro ritmo sincopato. In scena accanto a De Capitani (che è Achab, padre Mapple, Lear e l’impresario teatrale) ci sono, mescolate, tre generazioni di interpreti dell’ensemble dell’Elfo: Cristina Crippa, Angelo Di Genio, Marco Bonadei, Enzo Curcurù, Alessandro Lussiana, Massimo Somaglino, Michele Costabile, Giulia Viana, Vincenzo Zampa.
La musica dal vivo di Mario Arcari, i canti diretti da Francesca Breschi, i costumi di Ferdinando Bruni e le maschere di Marco Bonadei contribuiscono a creare un tutto scenico che ruota intorno all’oscuro e tormentato capitano del Pequod e procede come una vertigine fino all’inevitabile carneficina finale. Sembrano dirci – Welles e De Capitani in egual modo – che il tema non è tanto lo scontro tra uomo e natura, ma quello tra uomo e uomo, generato dall’odio, dalla mistica del capo, dalla conquista rapace, dalla cieca adesione al mito del superamento della frontiera.