Nell’agosto del 1920, durante un soggiorno termale, Giacomo Puccini ebbe l’occasione di ascoltare un carillon con alcune melodie tradizionali cinesi, in possesso dell’amico barone Fassini ch’era stato console italiano in Cina. Alcune di esse lo colpirono a tal punto ch’egli volle integralmente riportarle nella partitura dell’opera cui stava allora lavorando, e che nella misteriosa Cina aveva proprio la sua ambientazione, Turandot. L’opera si svolge infatti a Pechino “al tempo delle favole”, e racconta i tormenti e le peripezie del principe Calaf, deciso a risolvere i tre enigmi che gli permetterebbero di ottenere la mano della crudele principessa Turandot, in un singolare intreccio introspettivo nelle coscienze in continua evoluzione dei protagonisti. Il libretto s’ispira ai precedenti adattamenti di una leggenda di origini antichissime (e probabilmente non cinesi ma persiane), che aveva conosciuto grande popolarità in Europa a partire dalla pubblicazione dell’omonima fiaba teatrale da parte di Carlo Gozzi nel 1762. La stesura appassionò particolarmente il compositore lucchese, impegnandolo soprattutto sul modo di rendere in musica le trasformazioni interiori della protagonista, la cui fredda spietatezza lascia spazio all’amore che esplode nel commosso duetto finale. Duetto che, tuttavia, Puccini non riuscì a concludere, a causa dell’intensificarsi della malattia e del sopraggiungere della morte nel novembre 1924: fu poi l’editore Ricordi a conferire a Franco Alfano il difficile incarico di comporre un finale il quanto più possibile aderente agli appunti del maestro. Benché la redazione finale sia stata considerata dalla critica un’ottima sintesi dei caratteri espressivi propri dello stile pucciniano, essa fu ignorata nientemeno che da Arturo Toscanini, durante la prima dell’opera, il 25 aprile 1926 alla Scala, quando il direttore interruppe l’esecuzione appena dopo il verso iniziale del duetto, motivando così al pubblico la sua decisione: «Qui termina la rappresentazione, perché a questo punto il Maestro è morto». È tuttavia proprio con l’integrazione dell’Alfano che l’ultima fatica del maestro lucchese, nell’anno che segna il centenario dalla sua scomparsa, sarà messa in scena al Teatro La Fenice di Venezia dal 30 agosto al 18 settembre. L’orchestra, per l’occasione diretta da Francesco Ivan Ciampa, vedrà il proprio organico arricchito da un certo numero di percussioni inusuali, dal glockenspiel alle campane tubolari, tramite le quali Puccini ha ricercato e realizzato inedite soluzioni timbriche di particolare impatto, in grado di trasmettere le sensazioni favolistiche delle terre lontane in cui l’opera si ambienta.