Tessuti fieri, forme spassionate, pose plastiche e migliaia di sguardi icastici: vecchie pagine di rivista impresse da una figura che, silenziata e mitizzata, ha saputo liberare il movimento interiore attraverso la voce del corpo e la scrittura dell’abito. Sono gli anni Venti, Trenta, Quaranta del Novecento italiano e la donna assopita e inerte si spoglia o forse si riveste nella mostra Audaci e sportive. Le donne nelle riviste tra 1922 e 1945, a cura di Elena Pala e Emanuela Scarpellini. La mostra nasce da una collaborazione in continuo rinnovo tra la Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia e la Fondazione Casa di Oriani –Biblioteca di storia contemporanea di Ravenna, di cui i direttori, rispettivamente Stefano Trovato e Alessandro Luparini, esaltano il tentativo di valorizzazione culturale, al di là dell’interesse prettamente documentaristico, delineando «un tema solo in apparenza di nicchia, ma che in realtà riguarda un aspetto tutt’altro che secondario della nostra storia culturale, quello dell’immagine femminile (e del suo uso pubblico) nelle riviste, di moda ma non solo, durante il ventennio mussoliniano».
La donna ‘cartacea’ diventa dunque filtro che riflette un periodo tanto ruggente e unidirezionale, quanto contraddittorio e travagliato, dalla presa del potere di Benito Mussolini all’apice della Resistenza, giocando tra la sportività dell’audace e l’audacia dello sportivo. Audace è la donna borghese che scardina la sobrietà di regime per stare al passo e seguire le tendenze attraverso le riviste patinate, diventando al contempo un’esperta del gusto italiano, di uno stile che, soprattutto nel fascismo, deve essere modello dell’italianità più autentica. Per questo, nuovi materiali, quali canapa, lana, rayon, vengono utilizzati al fine di sostituire quelli provenienti da oltre confine e demarcare pertanto una produzione tutta nazionale, protagonista di esposizioni pubbliche come la Mostra del tessile e dell’abbigliamento autarchico, tenutasi a Venezia nel 1941.
Sportiva è l’«italiana nuova» che la retorica fascista immagina, sostiene, esalta in quanto bella dentro e fuori, sana e leggera, tanto da sottoscriverne la partecipazione a competizioni ufficiali. Audace è l’«angelo del focolare», colei che rifiuta l’uniforme nera in orbace messa addosso dalla dittatura per vestire il colore della libertà e dell’emancipazione. Sportiva è la donna delle nevi, tagliente e maestosa, implacabile ed elegante quanto le piste che sa accarezzare, la scia di una mimesi fatta di scarponi in cuoio e accessori in maglia, lunghi calzoni da cavallerizza, giacca di pelliccia, berretto con pompon o fermacapelli. Se Venezia presenta la parola audace del tessuto, nella «conca magica di Cortina d’Ampezzo» – cita l’articolo della Gazzetta dello Sport del 31 gennaio 1941, in occasione degli imminenti Campionati mondiali di sci – si diffonde il segno del corpo sportivo, il segno del successo dell’«ordine nuovo». Evento rimosso dalla storia, tuttavia senza aver cancellato nel tempo il carattere di forza e raffinatezza sotto quelle silhouette stampate su carta.