Trieste è la porta d’Italia per i migranti che arrivano attraverso l’impervio percorso della Rotta Balcanica. Partono da Bangladesh, Afghanistan, Pakistan, Iran, Nepal, Iraq, Siria. Varcano i confini di diversi Paesi: Iran, Turchia, Grecia o Bulgaria, Macedonia, Kosovo, Serbia, Bosnia, Croazia, Slovenia, ma spesso vengono respinti, anche più volte, un percorso a ritroso da cui ripartire: the game, viene chiamato quel gioco d’azzardo di entrare in Europa affrontando il ricatto dei trafficanti e la brutalità dei respingimenti.
Si parla poco delle persone che arrivano attraverso questa rotta, come se contassero meno di coloro che scappano dall’Ucraina o arrivano attraverso il Mediterraneo. Non se ne parla e, soprattutto, non le si vuole vedere. INVISIBILI, per le istituzioni, per tanti italiani, per tanti media.
Il Consorzio di Solidarietà, seguendo il principio della deistituzionalizzazione propugnato da Basaglia, mette a disposizione 180 appartamenti diffusi nel territorio, che, però, non sono sufficienti ad accogliere tutti. C’è, poi, la Comunità di San Martino al Campo con il suo Centro Diurno. Presenti, efficienti ma non sufficienti a coprire il bisogno.
Gli altri, sia coloro che sono in transito verso altri Paesi, sia coloro che hanno fatto domanda di asilo e che, quindi, avrebbero diritto all’accoglienza, non hanno alternativa al rifugiarsi (rifugiarsi è un eufemismo) nel Silos, grande e degradato edificio, in pieno centro di Trieste, di proprietà della COOP Alleanza 3.0.
Freddo, pioggia, bora, fango, topi, niente acqua né bagni, niente di niente, come documenta con le sue fotografie Barbara Zanon. Anche 400 persone in certi momenti, che vivono tra il Silos e la cosiddetta Piazza del Mondo. Ed è nella Piazza del Mondo che i migranti trovano il supporto di Linea d’Ombra, che ha saputo coinvolgere tanti volontari, che arrivano anche da altre città e regioni, per alternarsi e offrire cure, cibo, vesti ma soprattutto conforto.
Ora l’Amministrazione Comunale ha annunciato lo sgombero del Silos. Sarà perché ci si è accorti che le persone così provate da un viaggio lungo, irto di difficoltà e pericoli, da ferite, da dolori, da fame, freddo, sete, meritano attenzione, rispetto, cura? Speriamo. Speriamo che non sia semplicemente per aprire i cancelli e spingerle fuori, per renderle ancora più invisibili, o per trasferirle in uno di quelli che chiamano centri di accoglienza ma sono delle vere prigioni.
Attraverso il reportage fotografico di Barbara Zanon e i documentari di PIF messi alla disposizione dalla Direzione Teche RAI, si vuole gettare luce sulle sofferenze di chi, non per sua scelta, scappa da guerre, catastrofi naturali, povertà. Allo stesso modo si vuole valorizzare il lavoro dei volontari che, di giorno e di notte, senza proclami, danno attuazione ai principi di uguaglianza, giustizia, responsabilità.
La mostra sarà visitabile dal mercoledì al sabato, dalle 11 alle 18, dal 10 maggio fino al 13 luglio 2024.