Un vortice disorientante di luccichii, cangianze e cromatismi: sono i “dipinti di fuoco” di Michele Burato in mostra fino al 31 marzo allo spazio Sparc*. Trenta opere, che coprono una produzione di circa un decennio, offrono la testimonianza diretta di una maniera del fare arte che attinge a un’originale e costante ricerca nel plasmare la materia vetro. Michele Burato inizia la sua esplorazione del vetro verso la fine degli anni Ottanta. Parte dalla creazione di composizioni piane, realizzate prima con frammenti di vecchie murrine, poi anche con murrine autoprodotte, e successivamente fuse a caldo in piastre policrome, grazie all’utilizzo di piccoli forni elettrici.
Dopo pochi anni, inizia a combinare insieme su di una lastra monocromatica, usata come una tela, componenti vitree mai usate prima a Murano. Introduce l’uso dello stucco di vetro, da stendere con la spatola come fosse pittura; una finissima polvere vitrea, della consistenza del borotalco, che distribuisce sulla lastra attraverso un pennello o piumino da cipria per creare particolari sfumature, e poi lacerti irregolari, fili e fasce di colore, così da ottenere composizioni astratte, di grande originalità e libertà espressiva. Il desiderio di dipingere con il vetro, liberandosi dalle tecniche e dai colori tradizionali di Murano, lo porta a scoprire il vetro Bullseye.
Un vetro semilavorato, prodotto in colori totalmente nuovi per la tradizione muranese. Burato si pone come un apripista nell’utilizzo di questo nuovo tipo di vetro, tipicamente usato degli Stati Uniti per la vetro fusione, ma invece da lui lavorato combinandolo con la tecnica del roll-up e della soffiatura.
Molti dei lavori bidimensionali acquistano così una dimensione scultorea. Nelle sue opere, Burato combina alchemicamente minimalismo formale con colorismo massimalista: da un lato l’accuratezza maniacale nella combinazione dei frammenti di murrine, dall’altro la gestualità violenta e libera del pigmento lanciato sulla superficie vitrea.