Siamo nei pressi di Brunico, nel parco storico dell’ex villa padronale della fabbrica di tessuti Moessmer; è qui che Norbert Niederkofler ha aperto Atelier Moessmer, conquistando subito le 3 stelle Michelin.
Il loden verde è un cappotto che quasi tutti abbiamo usato o ancora utilizziamo regolarmente in inverno, per alcuni un vero e proprio segnale distintivo, due esempi per tutti: Massimo Cacciari e Mario Monti. Di origine povera e medievale, il tessuto grezzo loden veniva infeltrito e garzato per renderlo impermeabile e allo stesso tempo morbido, ma certamente non tinto. Via libera quindi alle sfumature che la lana delle pecore tirolesi permetteva: dal grigio chiaro a quello più scuro. Sarà solo nel XIX secolo che il cappotto diventerà “di moda”, dopo che la fabbrica Moessmer confezionerà un Loden bianco per l’imperatore Francesco Giuseppe I d’Austria, che lo rese tessuto d’elezione per le battute di caccia della nobiltà austro-ungarica: da qui il colore verdone, che permetteva di mimetizzarsi nella vegetazione.
Come avrebbe detto qualcuno: “che c’azzecca” con la rubrica menù (taste) il loden? Siamo nei pressi di Brunico, al centro di un vasto parco storico dell’ex villa padronale della fabbrica di tessuti Moessmer; è qui che Norbert Niederkofler ha aperto il ristorante Atelier Moessmer, conquistando le 3 stelle Michelin a pochi mesi dall’apertura. In questo locale l’idea che accompagna Niederkofler da sempre – Cook the Mountain, una cucina di montagna consapevole, etica e sostenibile, realizzata con ingredienti di filiera derivati dal lavoro di allevatori, produttori e agricoltori rispettosi dei cicli naturali delle stagioni –, trova la sua espressione più alta. In tempi non sospetti e con grande lungimiranza, Niederkofler ha destrutturato l’archetipo dell’alta cucina sostituendo gli ingredienti esotici e costosi con materie prime autoctone, spesso sottovalutate e sicuramente a basso impatto ambientale: «Oggi più che mai il costo del cibo ha raggiunto cifre da capogiro e dunque cucinare con prodotti di lusso, è sempre meno sostenibile. Da molti anni a questa parte la mia idea di cucina ha raso al suolo la concezione classica del fine dining, proponendo invece una filosofia incentrata su materie prime locali, valorizzazione della biodiversità, salvaguardia degli ecosistemi.
A livello gastronomico questa è la strada del futuro…». Quaranta i posti disponibili all’Atelier Moessmer, una sala aperitivi all’ingresso e una biblioteca con un grande tavolo per le cene esclusive. Poi, una serra che ospita l’open kitchen, con posto per dodici commensali e, nel seminterrato, la cantina walk-in.
Rimanendo sempre in montagna, a Cortina, con una offerta gastronomica assai variegata e sibaritica, come si conviene a una località in cui la sobrietà dei villeggianti, specie durante le vacanze di fine anno, non è pratica diffusa, ci sono almeno un paio di locali che meritano una convinta approvazione: SanBrite e Alajmo Cortina. Per entrambi vale il principio di una autentica e raffinata semplicità nel saper offrire al meglio i sapori della montagna, con l’aggiunta di un incomparabile panorama dolomitico per prolungare con lo sguardo le piacevoli sensazioni offerte dalla tavola. SanBrite: malga sana, nomina sunt consequentia rerum, il nome stesso introduce alla qualità della sua cucina. Lo chef-patron Riccardo Gaspari attinge a piene mani dalle proprie produzioni e dal territorio; prelibatezze dove il ricordo e le tradizioni montane vengono rinfrescati con tocchi moderni, come per la parte finale e dolce del pasto con squisiti dessert realizzati senza l’aggiunta di ulteriori zuccheri. Una nota a parte merita la montagna di cremosissimo burro servito con un altrettanto fantasmagorico pane per iniziare al meglio.
Nel fienile ai piedi delle Tofane, con vista privilegiata sulla conca ampezzana, dove è nato il mito dell’El Toulà, Alajmo Cortina è puro paesaggio montano con la formula unica e inimitabile della Famiglia ad accompagnare ogni momento. La declinazione del menu, i piatti e tutti gli abbinamenti sono concepiti e curati da Massimiliano Alajmo, coadiuvato dallo chef Mattia Barni, a cui è stata affidata la conduzione della cucina del ristorante. All’interno, un confortevole salotto adibito a zona bar accoglie gli ospiti prima di accedere ai due piani dedicati alle sale da pranzo. La ristrutturazione è stata considerevole soprattutto nel recupero del legno antico completamente rigenerato. L’ambientazione è particolarmente suggestiva, semplice e sofisticata, calda e accogliente, come si conviene ad un ambiente di montagna. Le stoviglie sono vecchi servizi Ginori, Bernardaud e Limoges, e sembrano uscire da una credenza di casa affiancati da elementi di servizio moderni e di effetto. Dai prodotti alle stoviglie, qui si celebra la montagna e tutto ciò che la caratterizza e distingue. Si valorizza la materia e lo si fa in maniera semplice, con un elogio al prodotto. Nella Wunderkammer dedicata alla cucina italiana, così viene definita la collezione di locali Alajmo sparsi in più paesi «ogni locale è completamente diverso dall’altro, con un solo denominatore comune che è il nostro DNA, rappresentato dalla qualità degli ingredienti, dal rispetto e dal sorriso».