In occasione della sua mostra personale Seven Skies for Venice a Palazzo Polignac abbiamo incontrato l’artista per un dialogo intimo sul suo percorso artistico, le sue ispirazioni e il legame profondo che intreccia tra cielo, natura e memoria.
Attraverso i suoi dipinti, l’artista esplora la bellezza effimera del mondo trasformando il movimento delle nuvole e i riflessi della luce in un linguaggio visivo poetico e spirituale. «Gli oli dai caldi colori che l’artista mutua dallo spettro solare – racconta la curatrice della mostra Roberta Semeraro –, sono stesi sulla tela come veli trasparenti che vanno ricoprendo il supporto materico che ha la sola funzione di renderli visibili. La composizione armoniosa dei colori, disegna nuvole leggere che aleggiano come serafini danzanti, rivelando la natura immutabile ed eterna dei cieli che, non curanti del tempo, dello spazio e degli uomini, rinascono ogni giorno uguali a sé stessi nella loro poetica bellezza».
Le sue radici nomadi e i suoi viaggi in luoghi come il Kirghizistan, l’Italia e il Giappone sembrano giocare un ruolo centrale nel suo lavoro. In che modo queste esperienze si riflettono nei cieli e nei paesaggi che dipinge?
Vengo da una linea di donne kirghise da parte di madre. Nella mia famiglia, lo sciamanesimo è una tradizione, non qualcosa di esoterico o marginale, ma un modo naturale di curare, di comprendere il mondo. Sono cresciuta in questa cultura, dove le energie e gli elementi rivestono un ruolo essenziale. Anche se non appartengo a una religione in particolare, sento una profonda connessione con le forze dell’universo. Alcuni luoghi mi suscitano emozioni molto intense, come Venezia, dove percepisco un’energia speciale in particolare nelle sue chiese. Gli affreschi che le decorano mi hanno ispirata profondamente.
Oltre alla spiritualità dei luoghi sacri, è la natura stessa a commuovermi. Cerco di catturare attimi fugaci: il movimento dell’acqua, il fremito di un petalo al vento, la danza effimera delle nuvole. Sono frammenti di miracolo che tento di fissare sulla tela, quella sensazione di meraviglia perpetua che la natura mi ispira. Trascorro molto tempo in luoghi isolati, come le scogliere selvagge di Capo Corso in Corsica o nelle profondità della foresta di Fontainebleau. In questi luoghi, i cieli mi ipnotizzano, i tramonti offrono infinite sfumature di colore. Anche il Giappone ha segnato profondamente il mio percorso.
Prima della nascita della mia prima figlia vi ho trascorso molto tempo, affascinata dall’estetica e dall’eleganza che permeano ogni gesto quotidiano. Ho esplorato Kyoto, il sud del Paese e l’isola di Naoshima, dove l’architettura di Tadao Ando dialoga con la natura. Tra le montagne sopra Kyoto ho realizzato numerosi acquerelli, cercando di catturare quell’atmosfera in cui il sacro e il paesaggio si fondono. Da questa esperienza è nato il libro Voyage amoureux au Japon. Lì, come in Kirghizistan, ho sentito questa connessione con le energie divine, la sensazione di essere alla fine del mondo eppure in perfetta armonia con esso. È nel silenzio e nella purezza dei paesaggi incontaminati che si percepisce meglio la bellezza del mondo.
Nelle sue opere, le nuvole non sono solo elementi naturali, ma anche simboli di emozioni e stati d’animo. C’è un’emozione o un ricordo particolare che ha ispirato una delle opere presentate in questa mostra?
Sì, in particolare l’opera The Miracle, utilizzata anche per l’invito. Questo quadro racchiude una grande gioia, è nato da un momento preciso: poco prima della nascita di mia figlia, mentre eravamo vicino a Parigi, all’abbazia des Vaux de Cernay, mi sono trovata di fronte un cielo straordinario, immerso in una luce intensa. L’ho avvertito come un segno, un messaggio rassicurante, diceva che tutto sarebbe andato bene. Per me, una nascita è un piccolo miracolo, un evento al tempo stesso fragile e potente. In generale, cerco sempre di tradurre la bellezza e la meraviglia. Le nuvole, nel mio lavoro, non sono solo forme sospese nel cielo, incarnano il cambiamento, il passaggio del tempo, le trasformazioni dell’istante. Sono effimere, ma mai banali. Annunciano sempre qualcosa di nuovo, un rinnovamento continuo.
Il tema della fragilità e della bellezza effimera della natura è molto presente nella sua opera. In un mondo sempre più segnato dalle crisi ambientali e dai cambiamenti climatici, quale ruolo pensa che l’arte possa avere nella sensibilizzazione e nella riflessione su questi temi?
L’arte ha un potere immenso, può risvegliare, interrogare, smuovere le coscienze in modo diverso rispetto a un discorso razionale. Per questo parteciperò nei prossimi mesi al festival Art for Climate ad Ha Long Bay in Vietnam, un evento dedicato alla sensibilizzazione sui temi ambientali attraverso la creazione artistica. Nel mio approccio non intendo mettere in luce l’aspetto negativo, ma piuttosto rivelare il “meraviglioso”, ciò che merita di essere protetto. Credo profondamente che la meraviglia rimanga un potente motore di cambiamento. Se attraverso l’arte è possibile a far percepire alle persone la magia di un cielo al tramonto, la delicatezza dei riflessi sull’acqua o la poesia di un fiore che danza nel vento, allora forse sorgerà in loro il desiderio di proteggere questi momenti così preziosi e irripetibili.